La Corte di giustizia Ue boccia la normativa con la quale l’Italia ha vietato, nel 2013, la commercializzazione di sacchetti di plastica monouso fabbricati con materiali non biodegradabili e non compostabili ma in linea con quanto previsto dalla direttiva europea del 1994. L’Italia avrebbe dunque violato il diritto Ue: di fatto, non è possibile vietare la vendita di sacchetti di plastica – quelli non biodegradabili, quindi – a meno che Roma non produca delle “prove scientifiche” che giustifichino il divieto.
Il Tar del Lazio si era rivolto alla Corte di giustizia Ue per avere chiarimenti in merito dopo una causa intentata da un produttore di sacchetti di plastica, la Papier Mettler, contro il decreto n. 73 adottato il 18 marzo 2013 dal ministero dell’Ambiente e dal ministero dello Sviluppo economico che vieta la fabbricazione e la commercializzazione di borse di plastica destinate al ritiro delle merci che non rispondano a determinate caratteristiche tecniche (normativa, per altro, più avanti rispetto a quanto previsto in altri Paesi europei, dove i sacchetti di plastica sono ancora ampiamente utilizzati). Papier Mettler Srl si era rivolta al Tar del Lazio per l’annullamento del decreto, chiedendo anche il pagamento dei danni causati dalla sua adozione, e il Tar aveva rimesso la decisione alla Corte di Giustizia.
Secondo i giudici europei, la ragione sta dalla parte della Papier Mettler: il diritto dell’Unione europea si oppone a una normativa nazionale che vieti la vendita dei sacchetti monouso diversamente riciclabili, a condizione che questi rispettino altre prescrizioni previste dalla direttiva sugli imballaggi del 1994. Se i criteri previsti dalle normative in vigore non vengono violati, il diritto nazionale non può, quindi, prevalere su quello comunitario. I ministeri avevano comunque spiegato che incentivare l’uso di borse di plastica biodegradabili e compostabili, nonché di borse riutilizzabili, si era “reso necessario per interrompere l’abitudine dei consumatori italiani di utilizzare sacchetti di plastica usa e getta per la raccolta dei rifiuti organici”. Per la Corte Ue l’unica strada per l’Italia per far valere il divieto, fanno sapere, sarebbe una deroga “basata su nuove prove scientifiche relative alla protezione dell’ambiente emerse successivamente all’adozione di una norma Ue”, e a condizione che lo Stato “comunichi alla Commissione le misure previste e i motivi della loro adozione”.
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