Il vertice sul clima in Africa, che si è chiuso la scorsa settimana, ha messo sul piatto gli impegni per ripristinare 24 milioni di ettari di terreno degradato nel continente, attraverso la piantumazione di alberi, considerato obiettivo fondamentale a livello mondiale. C’è, però, un problema e non di poco conto: mancano i semi. Burkina Faso, Camerun, Ghana e Kenya hanno in programma di ripristinare un’enorme superficie entro il 2030, ma mentre diversi punti del piano sono pronti, resta da risolvere la questione più urgente, cioè come reperire e piantare abbastanza materiale da specie arboree autoctone come semi, piantine e talee.
Un nuovo studio ha rilevato che, nonostante la volontà politica a livello nazionale e l’importante sostegno internazionale per il ripristino della natura, i sistemi di semina – le relazioni politiche, ambientali, economiche e culturali a più livelli che fanno fiorire le specie arboree autoctone – non sono ancora del tutto pronti. In base ai risultati pubblicati su Diversity, anche molti dei settori pubblici e privati coinvolti nel ripristino non sono pienamente consapevoli delle risorse disponibili.
“I quattro Paesi stanno facendo progressi sostanziali verso i loro obiettivi di riforestazione, ma rischiano di non raggiungere gli obiettivi prefissati”, spiega Chris Kettle, autore principale dello studio e ricercatore della CGIAR Initiative on Nature-Positive Solutions. “Tuttavia, questo problema può essere risolto. I nostri risultati hanno dimostrato che la domanda di materiale di specie arboree autoctone è forte, ma l’offerta è carente”, dice.
Non si tratta di una mancanza di foreste intatte da cui attingere materiale da piantare, perché è rimasta una diversità sufficiente per procurarsi in modo sostenibile almeno 100 specie arboree necessarie per un ripristino efficace. I problemi riguardano diversi aspetti. Intanto, le comunità che vivono più vicine a queste fonti di semi sono potenzialmente attori chiave, anche perché meglio di chiunque altro conoscono gli alberi autoctoni, ma il loro coinvolgimento non è strutturale, anche se potrebbe offrire posti di lavoro nelle aree rurali e “incentivi per la conservazione della biodiversità”.
Il secondo limite riguarda le ‘consuetudini’ in questo campo. Spesso i progetti di ripristino si basano su alberi non autoctoni, come il teak e il pino, coltivati per i loro prodotti legnosi o l’eucalipto, utile per la produzione di olio essenziale. In genere, però, questi alberi non favoriscono la flora e la fauna locali, e spesso comportano un’elevata richiesta di risorse idriche. Inoltre, non aiutano a ripristinare i paesaggi degradati e, anzi, rischiano di mettere in crisi gli ecosistemi. Cambiare queste pratiche, spiegano i ricercatori, è necessario per recuperare davvero gli spazi aperti.
“Lo studio evidenzia l’urgente necessità di investimenti nel settore delle sementi arboree, sia pubblici che privati, se si vuole che i sistemi di sementi soddisfino le richieste poste dagli impegni di ripristino”, chiarisce Fiona L. Giacomini, del Politecnico di Zurigo.
Eni ha acquistato nel periodo compreso tra il 16 e il 20 giugno 2025 sull’Euronext…
Il nuovo deposito per le scorie nucleari in Italia sarà attivo dal 2039. Senza accordo…
Emmanuel Macron riceverà il direttore generale dell'Agenzia internazionale per l'energia atomica (AIEA), Rafael Grossi, mercoledì…
Emmanuel Macron riceverà il direttore generale dell'Agenzia internazionale per l'energia atomica (AIEA), Rafael Grossi, mercoledì…
Le immatricolazioni Tesla hanno continuato a calare drasticamente a maggio nell'Unione Europea, non beneficiando della…
La dodicesima edizione di Kappa FuturFestival, uno dei festival di musica elettronica più grandi al…