Ambizione corretta, impostazione decisamente meno. La strategia anti-CO2 della Commissione Ue inquieta il mondo della siderurgia, italiana ed europea. Il settore attende il voto del Parlamento di mercoledì sul pacchetto ‘a misura di 55’ (‘fit for 55’), che vuole pulire il modello produttivo in ogni sua parte, incluso l’acciaio. Un voto che, se non avverrà senza modifiche, rischia di affossare 45 miliardi di esportazioni, 30 miliardi di investimenti, e non meno di 30mila posti di lavoro, spiega Mario Caldonazzo, amministratore delegato di Arvedi, vicepresidente di Federacciai e vicepresidente di Eurofer, nel corso di un’intervista concessa ad un ristretto numero di testate, tra cui GEA.
Perché così preoccupati per il voto di mercoledì?
La premessa ci porta al dicembre 2019, quando la Commissione annuncia il Green Deal, con cui abbiamo obiettivi di decarbonizzazione al 2030 e al 2050, assicurando fondi pubblici e un meccanismo di aggiustamento del carbonio alle frontiere. Tutto al fine di creare uguali condizioni per tutti e non penalizzare con extra-costi le industrie, incluse quelle siderurgiche. Da questa premessa poi però abbiamo visto il succedersi di elementi che spaventano.
Sarebbe a dire?
Sia chiaro, noi gli obiettivi li sposiamo appieno. Mancano però tutta una serie di elementi che tutelano le nostre imprese. Accelerare l’uscita dal regime di quote di emissioni gratuite non porterà un miglioramento, ma graverà, con inutili costi, su aziende che si vedranno fortemente penalizzate.
E poi?
E poi va bene il meccanismo Cbam, ma non c’è nulla che sostenga l’export. La produzione di acciaio è destinata ad aumentare, ma senza un meccanismo per le esportazioni rischiamo di tagliare la nostra produzione. Se la questione non si affronta con la necessarie gradualità e ragionevolezza si genera ‘carbon leackage’ (spostamento della produzione in Paesi che non hanno politiche ambientali o ne hanno di meno rigide, ndr), e il bilancio globale di impatto peggiorerà.
Quindi cosa chiedete all’Aula del Parlamento europeo?
Transizione, serve transizione. Inasprire le misure tagliando le quote gratuite non accelera il processo e toglie fondi all’industria.
Quanto rischia il sistema Italia? Avete una stima?
Non abbiamo una stima esatta, ma certamente le attività più a rischio sono quelle a ciclo integrale, quindi quelle a carbone minerale.
La guerra in Ucraina e le nuove politiche energetiche dell’Ue hanno giocato un ruolo tra la premessa di cui parlava e ciò che è seguito?
Non vedo influenza per quanto riguarda i sistemi di emissioni Ets e Cbam. L’aggressione all’Ucraina ha portato altri problemi, quali l’aumento del costo delle materie prime e il drammatico aumento dei costi energetici che, per un settore energivoro come la siderurgia, chiaramente è un problema.
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