I cambiamenti climatici sono in atto da anni e gli eventi estremi che piegano un territorio fragile come l’Italia si decuplicano. Il Paese ha dimostrato in diverse occasione di essere più che pronto in fase di emergenza, meno in fase post-emergenza, del tutto impreparato in fase di prevenzione.
E’ su questa “terza gamba troppo corta” che il ministro della Protezione Civile, Nello Musumeci, vuole intervenire. Anche con provvedimenti che definisce “impopolari“. Tra questi, la liberazione dei fiumi tombati, “tra le cause di morte in area urbana più frequenti“, osserva il capo dipartimento Fabrizio Curcio.
Il piano, per il momento, è quello (mastodontico) di censire tutti i corsi tombati d’Italia, mettendo i dati a sistema con i Comuni. Le risorse serviranno e non potranno essere poche, bisognerà “lavorare sull’intero bacino, capire l’antropizzazione dei singoli territori, riscoprire l’identità dei centri urbani, intervenire per ridurre il consumo di suolo”, fa sapere Curcio.
La denuncia che Musumeci lancia è “a noi stessi“, scandisce, perché, da sempre, l’Italia non è un Paese “culturalmente fatto per la prevenzione“. Sui fiumi c’è poco da disquisire: “L’acqua lo spazio lo vuole e quando non lo trova se lo crea da sola, con le conseguenze che sono sotto gli occhi di tutti”, tuona il ministro, annunciando che valuterà la possibilità di un intervento normativo per evitare che il fenomeno possa continuare a provocare danni. Dove è possibile, i corsi d’acqua saranno liberati e verrà dato più potere alle autorità di bacino.
“Dobbiamo cogliere gli anelli deboli della normativa vigente e capire se siamo di fronte ad un quadro normativo sufficiente per porre rimedio, per salvare il salvabile rispetto all’esistente o se invece serve introdurre una nuova norma che definisca competenze, chi deve fare cosa e dentro quale tempo bisogna farlo”, commenta con Gea, a proposito dell’arrivo di un possibile decreto Legge.
Il presupposto essenziale, in sostanza, è avere un quadro dettagliato del fenomeno: quanto è presente, dove è maggiormente diffuso, dove è possibile intervenire senza creare ulteriori criticità.
“Nessuno intende più discutere sul cambiamento climatico“, afferma il ministro dell’Ambiente, Gilberto Pichetto. “Piove in modo diverso, c’è un rischio di perdita di biodiversità. Una volta, tombare i torrenti era considerato del tutto normale, solo con il tempo ci siamo resi conto di quello che è significato”, ricorda. Di sicuro, la nuova situazione “impone una riflessione” sul reticolo idrografico e la valutazione di “una serie di azioni”, chiarisce.
Affrontare oggi questo tema in modo efficace, in ottica di prevenzione e di gestione delle emergenze, è un problema “essenzialmente di conoscenza e di risorse“, per Marco Casini, segretario generale dell’Autorità di bacino distrettuale dell’Appennino Centrale. L’Autorità, a partire dal 2023, fa sapere, ha avviato una “significativa attività” di aggiornamento delle mappe di pericolosità e di rischio dei principali corsi d’acqua del distretto che porterà entro un anno alla rimappatura di oltre 20 fiumi. Nello stesso tempo ha individuato la necessità di un primo pacchetto di interventi da realizzarsi nei prossimi tre anni per “oltre 2,5 miliardi di euro”. Sul tema, l’Autorità ha già avviato, in collaborazione con le Regioni, i Consorzi di bonifica e i Comuni del distretto, una ricognizione per acquisire un censimento aggiornato: solo su Roma, un’area molto sensibile sotto il punto di vista idrogeologico, il censimento ha per ora evidenziato la presenza di oltre 30 tratti fluviali tombati per una lunghezza di più di 40 chilometri.
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