Diverse luci e qualche ombra per l’Italia e le sue aziende verso gli obiettivi del Decennio digitale dell’Unione Europea. Entro il 2030, tre aziende europee su quattro dovranno utilizzare servizi di cloud computing, big data e intelligenza artificiale, mentre il 90% delle piccole e medie imprese dovranno raggiungere almeno un livello base di intensità digitale. Se la media europea è ancora molto distante da questi target – con un ritardo rispettivamente di 34 e 67 punti percentuali – le aziende italiane si dimostrano in affanno per l’utilizzo delle tecnologie di intelligenza artificiale, mentre danno segni di ottima salute sul fronte del cloud computing e dell’Internet delle cose.
A certificare lo stato di forma dei Paesi membri Ue verso gli obiettivi stabiliti dalla Bussola digitale al 2030 sono i dati di Eurostat, che mostrano come l’Italia si sia conquistata un posto nella top 5 degli Stati membri dell’Unione per l’uso del cloud computing, ovvero l’accesso al pool di risorse informatiche ospitate da terzi su Internet (invece di costruire una propria infrastruttura It). Nel 2021, il 42% delle imprese comunitarie ne ha fatto uso, per un aumento di 6 punti percentuali rispetto all’anno precedente: i Paesi più avanzati sono Svezia e Finlandia (entrambe al 75%), seguite da Paesi Bassi e Danimarca (al 65%), mentre per l’Italia il target al 75% entro il 2030 è distante solo 15 punti percentuali. Secondo i dati di Eurostat, la stragrande maggioranza (79%) utilizza il cloud computing per soluzioni che ospitano i propri sistemi di posta elettronica, mentre circa due terzi per l’archiviazione dei file (68%) e per i software d’ufficio come i word processor e i fogli di calcolo (61%). Più della metà, invece, per i software di sicurezza (59%), mentre scende al 48% per applicazioni finanziarie e contabili, al 27% per la gestione delle relazioni con i clienti e al 24% per la pianificazione delle risorse aziendali.
Qualche problema per l’Italia si registra sul piano dell’intelligenza artificiale, di due punti percentuali sotto la media Ue (all’8%). Sono solo sei su cento le imprese italiane che si avvalgono di tecnologie per il ‘text mining’ (l’analisi del linguaggio scritto), il riconoscimento vocale, la generazione di linguaggio naturale, il riconoscimento e l’elaborazione di immagini, l’apprendimento automatico, l’automazione dei processi robotici o il movimento autonomo di macchine. Tra i Paesi membri Ue più virtuosi ci sono Danimarca (24%), Portogallo (17%) e Finlandia (16%), mentre i fanalini di coda sono Polonia, Ungheria, Cipro, Estonia e Bulgaria (tutte al 3%) e Romania (1%). Per gli obiettivi al 2030 la situazione migliora se si considera invece l’uso dell’Internet delle cose (IoT), ovvero l’interconnessione di macchine, dispositivi, sensori e sistemi attraverso Internet: nel 2021 l’Italia si è posizionata all’ottavo posto (con il 32% delle aziende), tre punti percentuali sopra la media Ue. La maggioranza delle imprese (72%) che utilizza l’IoT lo fa principalmente per questioni di sicurezza (sistemi di allarme e telecamere intelligenti), mentre meno di un terzo (30%) per la gestione dei consumi energetici (contatori e termostati intelligenti) o per manutenzione (24%).
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