Incasellare Matteo Ward in un’unica definizione è impossibile: CEO e co-fondatore di WRÅD – start-up vincitrice del Best of the Best RedDot Design Award, finalista ai Green Carpet Challenge Awards, selezionata da ADI Design Index e finalista al Compasso d’Oro 2019 -, è anche imprenditore attivista. Ed è una delle brillanti menti che si celano dietro P.E.A.S. – Product Environmental Accountability System, il primo sistema intelligente che integra tracciabilità sociale e ambientale con la gamification.
Il progetto, presentato ieri alle Nazioni Unite, parte da una situazione reale: in media, nel mondo, un capo di abbigliamento viene gettato dopo solo 7 utilizzi. Un consumo eccessivo, incompatibile con qualunque strategia di sviluppo sostenibile, e che deve essere contrastato. “Tutti ci diciamo ‘Lunga vita ai vestiti, non buttateli via, etc’, ma non è un concetto che può interessare un ragazzino di 14 anni o un top manager di 40“, ha spiegato concretamente Matteo. Non solo: “Vivienne Westwood ha detto ‘Buy Less, Choose Well, Make it Last’. Molto bello ed esclusivo come claim, ma non tutti possono permetterselo“. L’innovativo progetto, realizzato grazie al supporto di Regione Lombardia, dal Politecnico di Milano, dalle aziende MOOD, 1TrueID e WWG in collaborazione con WRÅD, rende visibili tutte le informazioni sull’origine e l’impatto dei nostri vestiti, ma non solo: grazie ad un algoritmo, ci comunica quanto l’iniziale costo ambientale di un capo viene ammortizzato nel tempo grazie al suo utilizzo. Incentivandone, con un gioco, un uso duraturo nel tempo.
La tecnologia di P.E.A.S è ‘a prova di boomer‘: “Tu connetti P.E.A.S. alla maglietta che indossi attraverso un QR code o un tag NFC (acronimo di Near Field Communication, un sistema di comunicazione di prossimità) che trasmette segnali al cellulare. Il chip nel tessuto è minuscolo e invisibile. L’app riconoscerà da quanto sei in possesso del capo, se lo hai già utilizzato e comunicherà quanto hai ammortizzato in termini di consumo di acqua, energia e tecnologi“. Per farlo, P.E.A.S. elabora dati scientifici ottenuti grazie ad un Life Cycle Assessment, che calcola l’impatto ambientale di tutti i passaggi produttivi necessari a trasformare un fiocco di cotone in una felpa. Matteo guarda ancora oltre: “Ogni azienda potrebbe anche dare incentivi ai consumatori più virtuosi, e qui il limite è la fantasia“, conclude. “Ogni brand potrebbe decidere, ad esempio, di regalare un biglietto per un concerto, o un buono spesa al supermercato biologico, o altri benefit studiati ad hoc“.
A questo punto sorge però una domanda: ma un brand non ci perde a far riutilizzare lo stesso capo piuttosto che venderne altri? “La direzione che stanno cercando le aziende è proprio quella di capitalizzare un servizio che singolo paio di jeans può restituire nel corso della sua vita, piuttosto che essere schiavi della riproduzione dello stesso passo di jeans stagione dopo stagione“, spiega Ward. “Capisco che questo cambio paradigmatico non sia immediato, ma diventerà un cambiamento obbligato dalle nuove policy che stanno nascendo e spingendo in questa direzione, per aumentare la circolarità del prodotto“. Perché è questo, per Matteo, il futuro che abbiamo davanti: “Non devi creare per forza una felpa dai funghi!“, scherza, “ma se l’hai utilizzata a lungo, il materiale è sostenibile e in più ci aggiungi P.E.A.S., nel tuo piccolo hai già innescato, giocando, una reale filiera circolare“.
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