Standard Ethics promuove aziende alimentari italiane sostenibili

Le imprese alimentari italiane vincono sul fonte della sostenibilità, seppur con riserva. A promuoverle è Standard Ethics che ha pubblicato il rapporto ‘SE Food&Beverage Sustainability Italian Benchmark’ dedicato proprio a valutare le performance di 30 aziende italiane del settore. In generale, dallo studio emerge una particolare cura e attenzione ai principi di sostenibilità dal lato del prodotto e della filiera correlata a una ampia applicazione delle buone pratiche ESG circa i sistemi di produzione. Allo stesso tempo, però, appare debole l’adozione di principi di sostenibilità inerenti al produttore, i suoi modelli di governo, i suoi azionisti.

Tra le 30 società analizzate nel Benchmark emerge che, se da un lato 17 si sono dotate di target ambientali ben definiti, dall’altro 13 imprese ne sono ancora sprovviste. Sul fronte delle azioni di mitigazione della propria impronta ambientale sul territorio, il 57% del campione viene promosso dalla società di rating, ma il 43% è ancora lontana dall’obiettivo. Meglio, invece, dal lato della presenza di certificazione di qualità dei prodotti: gran parte delle aziende (20) sono dotate di certificazioni riconosciute a livello internazionale, mentre le restanti 10 non presentano ancora attestati significativi sulla qualità.

In linea generale, spiega Standard Ethics, “la qualità del prodotto e la sua sostenibilità sono curati secondo gli orientamenti internazionali e adeguatamente rendicontati. L’industria italiana si conferma un punto di riferimento a livello mondiale in termini di qualità e creatività“. Dall’analisi emerge come siano diffuse le buone pratiche dei sistemi produttivi, della tracciabilità della filiera e del packaging, nonché quelle legate alla sicurezza sul lavoro, al benessere animale e all’uso delle materie prime.

Le industrie alimentari italiane sono promosse anche sul fronte ESG (Environmental, Social and Governance): l’analisi mostra come siano ampiamente consapevoli di come per la Ue, per l’Ocse, per le Nazioni Unite, e in definitiva per il mercato, queste informazioni standard abbiano assunto una grande importanza importanza e di come una adeguata rendicontazione possa essere perno della propria comunicazione strategica.

Sul piano strategico e corporate, la ricerca ha analizzato gli strumenti di governo, a partire dal principale strumento volontario di governance della sostenibilità: il codice etico o codice di condotta. Sono 23 su 30 (76,66%) le società che hanno ancora spazi più o meno ampi per implementare il proprio codice etico anche attraverso espliciti riferimenti internazionali sulla sostenibilità, come le linee guida Ocse destinate alle imprese multinazionali, i principi tassonomici della Ue o i principali documenti Onu. “Riferimenti – spiega Standard Ethics – che nell’ambito di strumenti di gestione dei rischi acquistano una importanza significativa perché offrono evidenza di quale sia la scelta strategica adottata dall’azienda in tema extra finanziario: allinearsi alle sfide globali e misurarsi con target definiti, oppure preferire una via propria ed autonoma, non condivisa a livello internazionale“.

Un altro tema chiave per la sostenibilità riguarda il raggiungimento della parità di genere nel board, perché l’equilibrio di genere comincia dalle funzioni apicali ed è considerato un ulteriore elemento di stabilità. Tra le 30 società considerate, in un solo caso si raggiunge la parità di genere mentre in 4 casi la presenza femminile può dirsi in sostanziale equilibrio, con il 40% di donne sul totale dei membri del Consiglio di Amministrazione.

La società di rating, nelle conclusioni del rapporto, invita le industrie del nostro Paese a “una più efficace preparazione del dossier Sostenibilità per mettere a fuoco definitivamente il proprio posizionamento rispetto alle indicazioni internazionali“.

Nadia Bisson

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