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Trans Mountain: il nuovo controverso oleodotto canadese entra in servizio

La fine di una saga: il nuovo oleodotto Trans Mountain, che collega il Canada centrale alla costa occidentale, entrerà ufficialmente in servizio oggi dopo anni di ritardi e senza essere riuscito a cancellare le polemiche. Si tratta del primo grande oleodotto da decenni a essere costruito in Canada, quarto esportatore mondiale di greggio. L’oleodotto esistente si estende per 1.150 km tra la provincia di Alberta e la Columbia Britannica a ovest. È entrato in servizio negli anni ’50 e trasporta circa 300.000 barili al giorno. Due volte più grande, il nuovo oleodotto triplicherà la capacità con stazioni di pompaggio e terminali aggiuntivi e un nuovo complesso portuale a Burnaby, vicino a Vancouver, sulla costa del Pacifico. Soprattutto, permetterà di esportare di più, in particolare verso l’Asia.

A lungo voluta dalla potente industria petrolifera dell’Alberta, ma criticata dagli ambientalisti e da alcune comunità aborigene della regione, l’espansione dell’oleodotto Trans Mountain ha provocato un tumulto negli ultimi anni. Le manifestazioni e le azioni legali contro il progetto si sono moltiplicate dopo che nel 2018 il governo di Justin Trudeau ha annunciato la nazionalizzazione di questo oleodotto “strategico” per 4,5 miliardi di dollari canadesi (3 miliardi di euro). Per George Hoberg, esperto di risorse naturali presso l’Università della British Columbia, la costruzione dell’oleodotto è stata “un colpo molto grave” ai tentativi di riconciliazione del governo Trudeau con le comunità aborigene, una delle sue priorità da quando è salito al potere nel 2015.

È anche una decisione che non è piaciuta agli ambientalisti, che sottolineano il rischio di fuoriuscite di petrolio a seguito dell’aumento del traffico navale e le conseguenze per le popolazioni di orche del Pacifico, in pericolo di estinzione. Il successo del progetto rappresenta “una grande vittoria per l’Alberta, ma una grande perdita per gli ambientalisti preoccupati per la crisi climatica e per le possibili fuoriuscite dall’oleodotto stesso o dalle petroliere in navigazione nelle acque canadesi”, conclude Hoberg. Inoltre, l’estensione dell’oleodotto è “completamente in contraddizione” con l’impegno del governo di ridurre le emissioni di gas serra del Paese del 40-45% entro il 2030, afferma Jean-Philippe Sapinski, professore di studi ambientali all’Università di Moncton (est).

Il Canada è tra i primi 10 paesi al mondo per emissioni di gas serra e ha uno dei più alti tassi di emissioni pro capite. Tuttavia, il cambiamento climatico è una questione che preoccupa sempre di più i canadesi, che negli ultimi anni hanno dovuto fare i conti con eventi meteorologici estremi, la cui intensità e frequenza sono aumentate a causa del riscaldamento globale. Nel 2023 il Paese ha vissuto la peggiore stagione di incendi della sua storia. “Se puntiamo a una vera transizione ecologica, questo progetto è controproducente”, osserva Sapinski.

C’è un altro aspetto che sta facendo discutere in Canada: il costo finale del progetto. Sebbene non sia ancora noto, sembra che si tratti di un’incredibile cifra di 34 miliardi di dollari canadesi (23,2 miliardi di euro), rispetto ai 7,4 miliardi di euro previsti all’inizio del progetto nel 2017. Già nel 2022, il responsabile del bilancio del Parlamento aveva giudicato il progetto una “perdita” finanziaria per il Canada, in quanto la sua costruzione sarebbe costata più di quanto valesse. In termini energetici, l’arrivo della nuova versione dell’oleodotto sul mercato mondiale “non cambierà l’equilibrio geopolitico”, dominato dalla Russia e dal Medio Oriente, ha dichiarato all’AFP Pierre-Olivier Pineau, professore alla HEC di Montréal. Tuttavia, secondo l’esperto di politica energetica, “toglierà un po’ di potere al Medio Oriente e offrirà nuove opzioni dal Nord America“, creando “ulteriore concorrenza” per i produttori canadesi.

Chiara Troiano

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