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Se aumentare gli investimenti su aziende green non fa calare le emissioni

Si prevede che i gestori patrimoniali di tutto il mondo aumenteranno i propri asset correlati a criteri Esg a 33,9 trilioni di dollari entro il 2026, dai 18,4 trilioni del 2021. Con un tasso di crescita annuale composto previsto del 12,9%, gli asset Esg sono sulla buona strada per costituire il 21,5% del totale degli asset globali in meno di 5 anni. Questo secondo il rapporto Asset and Wealth Management Revolution 2022 di PwC. In particolare gli asset Esg sono destinati a crescere a un ritmo molto più rapido rispetto al resto del mercato. Nello scenario di crescita di base di PwC, gli investimenti Esg dovrebbero più che raddoppiare negli Usa, passando da 4,5 trilioni nel 2021 a 10,5 trilioni di Usd nel 2026, mentre in Europa (già aumentati del 172% solo nel 2021) l’ammontare degli asset dovrebbe crescere del 53% a 19,6 trilioni di dollari. Il problema dunque non sembrano le risorse, ma le allocazioni delle stesse. E un nuovo studio indica infatti che gli investimenti Esg sarebbero addirittura controproducenti per le emissioni.

Kelly Shue della Yale University e Samuel M. Hartzmark del Boston College hanno studiato l’impatto ambientale di oltre 3.000 grandi aziende tra il 2002 e il 2020 e hanno scoperto che il minor costo del capitale delle aziende verdi non porta a una riduzione della Co2. Questo perché operatori del calibro di Spotify o, ad esempio, di ospedale non sono emettitori particolarmente pesanti e hanno poca capacità di abbattere l’inquinamento, mentre le aziende classificate come ‘marroni’ (più inquinanti appunto, ndr) producono un impatto ambientale 260 volte superiore. In realtà, spiega lo studio, quando le società ‘marroni’ sono affamate di capitale, diventano più ‘sporche’ per evitare il fallimento. E tutto questo significa molto meno capitale disponibile per le tecnologie verdi.

Gran parte del problema – secondo la ricerca – è incentrato sulla tendenza degli investitori a dare priorità alle riduzioni delle emissioni in percentuale piuttosto che in termini assoluti. “Gli investitori sostenibili sembrano soffrire di un pregiudizio del pensiero proporzionale in cui premiano le aziende con riduzioni percentuali elevate delle emissioni piuttosto che riduzioni di livello elevato delle emissioni. Allo stesso modo, le valutazioni ambientali Esg influenti premiano le riduzioni percentuali delle emissioni piuttosto che le riduzioni di livello delle emissioni”, si legge. Inoltre, le aziende ‘marroni’ e le aziende ‘verdi’ hanno profili di emissione drasticamente diversi. Quindi un’alta percentuale di riduzione delle emissioni da parte delle aziende verdi può portare a una bassa riduzione delle emissioni complessive, mentre una bassa percentuale di riduzione tra le aziende marroni si tradurrà in un miglioramento molto maggiore delle emissioni complessive. “A causa di un’errata attenzione alle variazioni percentuali delle emissioni, il movimento degli investimenti sostenibili premia principalmente le aziende verdi per riduzioni economicamente insignificanti dei loro già bassi livelli di emissioni”, si legge. “Una riduzione del 100% delle emissioni da parte di un’azienda verde è molto meno significativa dal punto di vista economico di un’azienda marrone di dimensioni simili che riduce le proprie emissioni di un mero 1%”.

A livello finanziario, infine, lo studio di Yale e Boston College ha scoperto che le aziende ‘marroni’ (soprattutto quelle ad alto indebitamento) in genere rispondono alle difficoltà finanziarie o all’aumento del costo del capitale aumentando a loro volta le emissioni. Diventare verdi è positivo per i flussi di cassa a lungo termine, ma negativo a breve termine. Pertanto, durante i periodi di difficoltà finanziarie e incremento del costo del capitale, le aziende di colore ‘marrone’ danno naturalmente la priorità al flusso di cassa a breve termine. E inquinano sempre di più.

Vittorio Oreggia

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