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I fertilizzanti azotati inquinano più dell’aviazione

Utilizziamo, nel mondo, sempre più fertilizzanti azotati sintetici. Ma questa non è una notizia. Ne impiegheremo, se va bene, il 22% in più da qui al 2050. Se va male, fino al 138%. E anche questo non è un dato nuovo. A completare il quadro, però, arrivano i risultati di una nuova ricerca condotta dall’università di Torino insieme a Greenpeace e l’università inglese di Exeter: i fertilizzanti azotati sintetici sono responsabili del 2,1% delle emissioni globali di gas serra. Più delle emissioni dell’intero settore dell’aviazione commerciale.

Quando questa tipologia di fertilizzanti viene applicata al suolo, una parte viene assorbita dalle piante, mentre un’altra viene “digerita” dai microrganismi del suolo. Questi, a loro volta, rilasciano come sottoprodotto del loro metabolismo protossido di azoto, un gas serra 265 volte più potente dell’anidride carbonica.

La ricerca indica la necessità di ridurre l’uso complessivo di fertilizzanti: “Possiamo produrre cibo a sufficienza con minori emissioni di gas serra, senza compromettere le rese” ha detto Stefano Menegat, del team di ricerca dell’università di Torino. Sì. Ma come?

Il primo step sarebbe utilizzare il fertilizzante in modo più efficiente ed efficace. Molto spesso, infatti, non tutto quello sparso sul campo viene effettivamente assorbito dalle piante, a seconda delle condizioni climatiche, del tipo di pianta o tipo di suolo”. Un problema di spreco, in altre parole. E anche importante. “Secondo uno studio che valuta l’efficienza nell’uso dell’azoto nel mondo” continua Menegat, “il 57% dell’azoto contenuto nel fertilizzante sparso nel mondo è semplicemente di troppo”.

Un altro scenario da percorrere, segnala la ricerca, è poi il cambiamento dei modelli alimentari verso una riduzione della carne e dei prodotti lattiero-caseari. Tre quarti dell’azoto della produzione vegetale (espresso in termini di proteine e compresi i sottoprodotti della bioenergia) sono infatti destinati proprio alla produzione di mangimi per il bestiame a livello globale.

La domanda da porsi è se la crisi energetica in corso e le oscillazioni dei prezzi dei fertilizzanti possano accelerare l’impiego alternativo di fertilizzanti organici. “Ma è più probabile” continua il ricercatore, “che l’innalzamento dei prezzi nel breve periodo farà soltanto male alle tasche dei contadini. E forse solo nel lungo periodo potrebbe incentivare la transizione verso altre risorse”. L’Italia, da parte sua, ha la possibilità di fare la sua parte per mitigare gli effetti delle emissioni provenienti dall’agricoltura, magari partendo col valorizzare le specificità del proprio paesaggio rurale – fatto spesso di terrazzamenti, canali, fossi, che mal si adatta, insomma, a una produzione particolarmente intensiva. Anche se la storia recente, fra scenari di guerra e crisi di risorse, suggerisce che la sovranità alimentare è un tema che preme, e premerà sempre di più all’aumentare della popolazione nel mondo.

Nadia Bisson

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