Ma se un giorno avessimo delle ‘super-piante’ nelle nostre città, in grado di aiutarci a migliorare la qualità dell’aria? Si può. Ed è una questione di genetica. Piante e alberi sono degli anti-smog naturali in grado di catturare anidride carbonica e polveri sottili. Non tutte però allo stesso modo. Un gruppo di ricerca coordinato dall’università di Firenze ha analizzato 32 diverse specie per scoprire quali sono in grado di trattenere più particolato. E, soprattutto, per capirne il perché.
Non si tratta solo di fare una classifica, ma di studiare i geni che rendono alcune foglie particolarmente adatte a proteggerci dall’inquinamento, e immaginare un futuro in cui questa capacità possa essere replicata su altre specie di piante.
Alloro, ligustro e olivo, oltre a fotinia e rovo, sono le specie più efficaci fra quelle testate. Non in senso assoluto, i ricercatori e le ricercatrici hanno lavorato su un’area che comprende quattro comuni nel Lucchese per mappare le specie già presenti sul territorio. Ma i risultati indicano un’efficacia complessiva delle prime cinque piante selezionate del 52% più alta rispetto alle successive cinque nel trattenere particolato PM10.
“Abbiamo utilizzato 16 centraline che analizzano diversi parametri dell’inquinamento, come particolati o metalli pesanti presenti nell’aria” spiega Federico Martinelli, professore di genetica al dipartimento di biologia dell’università di Firenze, “il nostro lavoro è stato poi quello di standardizzare il particolato atmosferico rilevato e compararlo sulle superfici delle foglie”.
La ricerca lavora con tecnologie basate sul sequenziamento del Dna, e apre la possibilità di fornire conoscenze per miglioramento genetico (in termini di capacità anti-inquinamento) di altre piante ornamentali, sia tramite il classico procedimento di incrocio e selezione delle piante, sia con metodi biotecnologici.
“In prospettiva, una delle vie percorribili potrà essere basata su processi di ingegneria genetica, producendo quindi piante più resistenti o tolleranti all’inquinamento” spiega Federico Martinelli, “oppure creando nuove piante ‘editate’, dove una piccolissima sostituzione di una base nucleoditica può modificare la sequenza nella pianta”, correggendola insomma, per renderla più funzionale agli obiettivi.
Lo studio, finanziato dalla fondazione cassa di risparmio di Lucca, dura 3 anni, e terminerà a fine ottobre. Ma la ricerca dei geni attivati in risposta all’inquinamento è partita. E ci autorizza a pensare, con un respiro più ampio, a polmoni più verdi per le nostre città.
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