Balzan (Arb): “Un’azienda su 2 propone messaggi a rischio greenwashing”

Un’azienda su due, in buona fede, propone messaggi su ambiente e sostenibilità a rischio greenwashing”. A dirlo è Ada Rosa Balzan – sociologa, imprenditrice, pioniera nel mondo della sostenibilità e autrice del libro ‘L’impatto zero non esiste’ (Este Edizioni) – che recentemente ha implementato i servizi della sua azienda, la società benefit Arb, proponendo nuovi tipi di consulenze. Fra queste appunto l’analisi della comunicazione aziendali e dei relativi claim per evitare autogol nel campo Esg. “Magari si esce con messaggi apparentemente banali, tipo ‘ 100% naturale’, che invece è uno dei claim più diffusi di greenwashing, o impatto zero che scientificamente non può esistere nulla che non generi impatti”.

Professoressa Balzan, in cosa consiste la vostra consulenza?
“Arb affianca a 360 gradi le aziende in ambito sostenibilità. Spesso, per esempio, le aziende, in fase di campagne commerciali o lancio di nuovi prodotti propongono claim che noi analizziamo in base ad un indice di rischiosità di greenwashing”.

Qual è la percentuale di rischio greenwashing?
“Parliamo di una impresa su due. Errori che vengono commessi in buona fede ma attenzione perché spesso sono gli stessi competitor a segnalare”.

Com’è possibile? È un problema legato alle troppe normative, spesso in evoluzione?
“C’è la ‘penna facile’ che soprattutto in questi anni spinge sui benefici ambientali di un prodotto o servizio da un lato, dall’altro ci sono aspetti non facili da conoscere da parte di chi non ha una competenza forte soprattutto lato tecnico alle spalle sulla materia”.

Ma le vostre analisi si basano su quali indici?
“Sono basate su strumenti riconosciuti a livello internazionale, non sul percepito o sul sentito dire. Prima di comunicare si devono avere dati certi e dimostrabili degli aspetti che poi si vanno a promuovere. Adesso la direttiva greenwashing ha fornito ulteriori elementi importanti, approvati dal parlamento europeo, per etichettare ad esempio un prodotto sul fronte del rispetto ambientale o sulla durabilità. Ricordo che la parola sostenibilità in francese significa appunto durare nel tempo e non sostenere come spesso si pensa….”

 Ci sono numerosi enti o istituti che certificano il tasso di sostenibilità di una azienda. Non c’è confusione con tutti questi indici?
“Si sta proprio cercando di andare verso una direzione di maggior univocità per avere parametri oggettivi e il più possibile comparabili che tutelino alla fine l’azienda stessa oltre ai suoi stakeholder”.

Se l’azienda viene beccata a fare greenwashing anche involontario si paga una multa?
“Sì, ma il danno maggiore non è la multa da pagare, è la reputazione che conta, che rompe i legami fiducia con stakeholder e colpisce duramente la sua reputazione”.

Sempre più imprese sono obbligate a presentare il Bilancio di sostenibilità. Come viene vissuto dalle aziende?
“C’è un obbligo legale ma io dico che non è l’ennesimo documento da produrre, ma un’opportunità se si coglie che è un elemento strategico di posizionamento ormai imprescindibile: te lo chiede il mercato. Se non lo fai sei fuori dal mercato. Anche alle piccole aziende ormai vengono richieste informazioni su politiche di sostenibilità, il bilancio diventa così anche uno strumento di gestione”.

Esg, si parla molto della E, ma su S e G sembra che siamo indietro…
“Purtroppo, il focus è quasi tutto sull’ambiente, che però è interconnesso con i temi sociali e di governance, perché poi è la governance che decide cosa fare in un’organizzazione. Un esempio lampante? Prendiamo SASB quale standard internazionale di misurazione dei temi ESG: su 26 criteri solo 6 riguardano l’ambiente, gli altri 20 sono 10 sono per la S e 10 per la G… Siamo più indietro di altri paesi, l’accelerazione verso la sostenibilità si è diffusa dopo il Covid, ma appunto siamo indietro rispetto al panorama internazionale”.

La sostenibilità è un tema più sentito dalle donne o dagli uomini, vista la sua ventennale esperienza?
“Più dalle donne, da un punto di vista sociologico hanno una visione di lungo periodo generando la vita e quindi guardano con maggiore attenzione al futuro. Nella mia azienda punto molto sulla presenza femminile. È stata da poco nominata Veronica Tonini come nostra amministratrice delegata e la maggior parte del nostro team è donna. Non siamo per le quote rose ma per un giusto equilibrio di opportunità tra uomini e donne a parità di competenze”.

Warren Buffett, il più grande investitore finanziario mondiale, sostiene che più donne al lavoro portano più Pil. Condivide?
“Assolutamente sì. L’Istituto Europeo per l’uguaglianza di genere (Eige) ha calcolato che se ci fosse più parità di genere il Pil europeo potrebbe crescere fino a 3,15 trilioni di euro entro il 2050. Un dato importantissimo, quindi conviene anche dal punto di vista economico …”

 Lei dice nel suo libro che “conviene” anche la sostenibilità. Forse non è passato ancora a livello comunicativo che c’è anche un tornaconto economico nel cambiare il nostro approccio lavorativo-sociale?
“Dobbiamo diffondere la cultura sostenibilità perchè in effetti non è stata colta tutta l’opportunità che può avere, dalle Pmi alle grandi aziende. Mi spiego riprendendo il tema del bilancio di sostenibilità: l’ultima direttiva europea spinge sulla qualità dei contenuti, dei dati, di un approccio più rigoroso. Se prima si usava un approccio rendicontativo ora invece è anche prospettico: aiuta l’azienda a definire una strategia, darsi degli obiettivi di miglioramento sui temi di sostenibilità ”.

Valentina Innocente

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