Cattedra Unesco all’UniFi. Agnoletti: “In Italia abbandono della terra”

Nel lago Inle, in Birmania, i contadini creano isole galleggianti fatte di fango ed erba sulle quali sono in grado di coltivare. È un modo di rispondere alla scarsità di terra. Così come, in tutt’altra area del pianeta, anche le oasi nel deserto possono essere studiate come ecosistemi straordinari nel saper utilizzare pochissima acqua per dare vita a giardini con palme da dattero, frutta, uva, grano. “Sono tutti modelli di agricoltura che hanno capacità di adattarsi e mantenersi anche nel corso di millenni”, spiega Mauro Agnoletti, docente di pianificazione del paesaggio e storia del paesaggio e dell’ambiente all’Università di Firenze, “e tutti rischiano ora di scomparire. Ma possono insegnarci molto, e aiutarci a cambiare i nostri modelli di sviluppo”.

Ora, da Firenze, una nuova cattedra Unesco (la terza per l’ateneo, sono 39 quelle italiane) potrà contribuire a promuovere un sistema di ricerca e didattica in questo senso. ‘Agricultural Heritage Landscapes’ aiuterà a rafforzare le competenze necessarie per pianificare, conservare e valorizzare il patrimonio rurale, in linea con gli obiettivi internazionali di sviluppo sostenibile.

Titolare della cattedra Unesco sarà proprio Mauro Agnoletti, da anni impegnato sui temi della pianificazione del paesaggio rurale e della storia del paesaggio e dell’ambiente: è esperto scientifico della World Heritage List Unesco ed è stato per anni presidente del comitato scientifico del programma mondiale Fao sulla conservazione del patrimonio agricolo (GIAHS), mentre in Italia ha coordinato la segreteria scientifica dell’osservatorio nazionale del paesaggio rurale del ministero dell’Agricoltura e il Catalogo nazionale dei paesaggi rurali storici. “Con questo progetto studieremo come determinati modelli agricoli ci possano aiutare a risolvere alcuni fra i problemi di sostenibilità che il pianeta sta affrontando” spiega Mauro Agnoletti intervistato da GEA.

Professore, siamo sempre più alla ricerca di modelli agricoli che rispondano alle sfide ambientali e che abbiano un ruolo nello sviluppo del territorio rurale. Ma il primo problema da risolvere è forse internazionale, con la crisi del grano innescata dalla crisi Russia-Ucraina.
Sì, dobbiamo partire da una dimensione internazionale che però è strettamente collegata a una dimensione nazionale. I cereali sono oggi considerati a tutti gli effetti una commodity, il mercato è in mano a poche grandi compagnie multinazionali e la produzione concentrata nelle sole aree del mondo in cui è possibile gestire un’agricoltura industrializzata. Con più bassi costi del lavoro e alta produzione per unità di superficie. Quando un sistema come questo viene messo in crisi – per esempio da un conflitto o da uno shock climatico – gli effetti si riflettono su tutto il mondo. E in Italia, purtroppo, non abbiamo più compensazione da produzioni locali. Siamo scoperti insomma.

Abbiamo quindi rinunciato a una sovranità alimentare?
Tutte le aree agricole in cui non è possibile avere alte produzioni unitarie e costi in linea con i prezzi del mercato mondiale rimangono fuori dai giochi. Stiamo parlando di tecniche che richiedono spazio, e una semplificazione importante del paesaggio. Difficile da attuare in un territorio come il nostro, fatto spesso di terrazzamenti, fossi, canali, e dove il 74% della superficie è montuoso o collinare. Nella mia esperienza è capitato di vedere addirittura piangere alcuni coltivatori in aree montuose che non riuscivano più a vendere il proprio grano a un prezzo competitivo. La conseguenza, spesso, è l’abbandono della terra.

Ma che dimensione ha l’abbandono delle campagne che stiamo vivendo in Italia?
Dal dopoguerra abbiamo abbandonato in Italia circa 10 milioni di ettari di aree agricole, quasi la metà di quella che era la superficie allora coltivata. Su 6 milioni di ettari è ricresciuto il bosco. Il resto è coperto da urbanizzazione o è lasciato incolto. Eppure per essere autosufficienti in termini di produzione di cereali basterebbe coltivare una superficie di un milione e 500mila ettari. Non si tratterebbe, insomma, di una rivoluzione, ma di ripensare il modello di sviluppo.

Quali possono essere delle soluzioni?
Possiamo invertire la rotta promuovendo modelli che non competono sul piano dei costi, ma sulla qualità. E con un tipo di agricoltura che per potersi affermare si interfaccia con il paesaggio. Significa recuperare tecniche ed elementi che diventano un valore aggiunto quando si abbinano alla qualità alimentare e che possono ritagliarsi così una fetta di mercato che altri competitor non avrebbero modo di ripetere. Non c’è ‘italian sounding’ che tenga quando abbiniamo una produzione di qualità alle colline, per esempio, in cui è stato prodotto. Il paesaggio non si può replicare.

È una strada che risponde anche a criteri di sostenibilità ambientale.
Stiamo parlando di produzioni sicuramente più amichevoli nei confronti dell’ambiente, con un impiego decisamente minore di fertilizzanti e di macchine, quindi minori input energetici esterni. Inoltre produrre sul territorio evita i costi in termini di emissioni dovuti all’importazione e alla produzione all’estero di ciò che abbiamo bisogno, funziona così anche per i prodotti legnosi. Al contrario il modello agricolo che si è imposto oggi è insostenibile sia ambientalmente che economicamente: non ha risolto la fame del mondo e non ha reso i contadini più ricchi, anche se ha innegabilmente contribuito ad aumentare la produzione.

La cattedra Unesco appena istituita presso l’università di Firenze lavora in questa direzione?
Nell’ambito della cattedra ‘Agricultural Heritage Landscapes’ ci occuperemo di conservazione e valorizzazione del patrimonio rurale a tutto tondo. Dal cibo, alla diversità bio-culturale associata a pratiche agricole tradizionali e ai paesaggi agricoli, pastorali e forestali, che li rappresentano. In collegamento con istituzioni nazionali ed internazionali, il progetto punta a identificare e mappare nel mondo questi modelli, che si sono dimostrati adatti nel corso dei millenni resistendo a climi e ambienti difficili e mutevoli.

La Cattedra Unesco ‘Agricultural Heritage Landscapes’ è supportata da FAO, Consiglio d’Europa, UNISCAPE (network europeo delle università per l’implementazione della convenzione europea del paesaggio), IUFRO (international union of forest research organization), Ministero dell’Agricoltura, Regione Toscana, Comune di Firenze, Università di Firenze.

Nadia Bisson

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