Quanto pesano i rincari dell’energia e dell’alimentare sull’economia reale e qual è l’impatto sulle varie aree del Paese. Ma soprattutto quanto ci rimettono famiglie e imprese. A fare i conti in tasca agli italiani ci ha pensato il Centro studi Tagliacarne e i risultati non sono del tutto ovvi. “Le regioni del Mezzogiorno rischiano di essere discriminate non solo a causa dell’incremento dei prezzi, ma anche per il minor livello dei redditi e a causa della composizione del loro paniere di consumo” è il campanello d’allarme suonato da Gaetano Fausto Esposito, direttore generale del Centro Studi Tagliacarne, commentando l’analisi sull’impatto dell’indice Istat dei prezzi al consumo sul reddito degli italiani nell’ultimo triennio.
La fiammata dei prezzi ha reso più leggeri i portafogli degli italiani che hanno perso 1756 euro a testa in tre anni (-9,1%). Tra giugno 2019 e giugno 2022, il reddito pro-capite è diminuito in valore assoluto soprattutto nel Nord-Est -2.104 euro. E se in termini relativi l’inflazione ha colpito principalmente il Mezzogiorno (-10%), a livello regionale il caro-vita si è abbattuto più su una regione ricca come il Trentino-Alto Adige, con una perdita del potere di acquisto di 2.962 euro (-12,3%). Rapportando la riduzione di potere di acquisto ai beni e servizi, “vediamo che la perdita del Mezzogiorno è in termini relativi superiore di circa un terzo a quella subita dal Centro-Nord, con punte molto alte in Sicilia, Puglia e Calabria. Inoltre – aggiunge Esposito – la maggiore componente di consumi alimentari delle famiglie del Sud, a fronte dei rincari particolarmente alti degli ultimi mesi, le espone a ulteriore penalizzazione”.
Nella classifica delle regioni primeggia dunque il Trentino-Alto Adige, ma le perdite nelle tasche degli italiani registrano valori superiori ai 2mila euro anche in Emilia-Romagna (-2.136 euro), Friuli-Venezia Giulia (-2.049) e in Lombardia (-2.021). Impatto meno duro si è registrato in Calabria (-1.334), Campania (-1.303), Basilicata (-1.295) e Molise (-1.287). “Tuttavia – conclude l’analisi del Cs Tagliacarne – è in particolare nel Mezzogiorno che il tasso d’inflazione sul reddito pro-capite disponibile incide in maniera più generalizzata”. In effetti il 60% delle regioni che registrano cali percentuali maggiori della media nazionale sono del Sud, dove pesano soprattutto le spinte inflattive su prezzi di casa, energia e alimentari.
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