Sono due le evidenze di questa tornata europea delle urne. La prima, temutissima ma anche prevedibilissima, è l’astensionismo: non era mai successo nella storia che nemmeno il 50% degli italiani si recasse a votare, per di più in distonia rispetto a quanto è accaduto nel resto d’Europa. La seconda, in parte pure questa preventivabile, è che la ‘questione ambientale’, ovvero il Green Deal, è scomparso dagli schermi radar delle forze politiche, così come era apparso pochissimo in campagna elettorale. Scomparso non per menefreghismo ma, probabilmente, per strategico interesse. Forse – azzardiamo – quel ‘troppo’ del precedente esecutivo si è fatto sentire al momento delle scelte: italiani ed europei si sono spaventati/arrabbiati e hanno deciso di frenare col verde, nonostante il dato di Avs rappresenti un’anomalia importante e sulla quale sarebbe giusto innestare una riflessione. La coppia Bonelli-Fratoianni – al netto dell’effetto Salis, non proprio trascurabile – ha parlato di clima e di agricoltura sostenibile e di decarbonizzazione e di rinnovabili, andando serenamente controcorrente: sono stati premiati. C’è, in verità, una terza evidenza: la flessione delle Borse, da Francoforte a Parigi, alla stessa Milano. Sembra quasi che gli analisti finanziari non li abbiano visti arrivare, direbbe qualcuno, eppure sono stati abbastanza rumorosi.
Tornando alla questione ambientale, non è un caso che nella composizione del Parlamento di Strasburgo i Verdi abbiamo perso molti seggi e che le destre – per convenzione meno sensibili ai temi della natura – abbiamo consolidato le proprie posizioni un po’ ovunque, con effetti squassanti in Francia, Germania, Belgio. In fondo, non è solo in Italia che le Europee si sono trasformate in un sondaggio interno, quasi fossero le elezioni di Midterm americane: anche in altri Paesi hanno sortito l’effetto della conta. E della resa dei conti.
Ora nel giochino delle maggioranze che potrebbero nascere a Strasburgo se Tizio accetta di stare con Caio e Sempronio dice sì tappandosi il naso e quell’altro accetta pure lui tappandosi le orecchie, ci sta un po’ tutto. Siamo alla fantapolitica nell’attesa che ci si sieda attorno a un tavolo a trattare. E lì la premier Meloni potrà esercitare un ruolo diverso rispetto a qualche settimana fa. Ma, al momento, la realtà racconta che in Europa guida sempre di più il Ppe con Ursula von der Leyen, in odore di riconferma come presidente della Commissione. Qualora riuscisse nell’impresa, Vdl dovrebbe però cambiare registro sul Green Deal e adeguarlo alle richieste di chi nel recente passato lo ha respinto etichettandolo come ideologico e controproducente.
Ursula o non Ursula, chi si accomoderà sullo scranno più prestigioso della Commissione sarà obbligato ad armonizzare processi tanto ineludibili quanto delicati. Auto elettriche, case green, imballaggi, nuova Pac, percorsi di decarbonizzazione: il futuro ruoterà interno a questi temi, cari tanto agli ambientalisti quanto agli industriali, oltre a quello della Difesa comune, delle guerre e della pace, della sanità e dei salari.
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