Neppure questo caldo torrido che sta mettendo in ginocchio mezza Europa piega la tempra guerrigliera di madame Lagarde. La quale, in una mattina di fine giugno, racconta all’universo mondo che no, la Bce non ha alcuna intenzione di frenare la scalata dei tassi e che a luglio ci saranno altri rialzi. Ma, peggio ancora, che è “improbabile venga detto il livello massimo da raggiungere”. Liofilizzando il concetto, la politica monetaria della Banca centrale europea viaggia a sentimento, di mese in mese, e non si vede al momento la fine del tunnel, per usare una metafora consunta. L’inflazione resta alta e così le contromisure studiate a Francoforte, nonostante tutto. Nonostante cosa? Nonostante una politica decisamente non attendista e nonostante negli Stati Uniti il quadro tendenziale stia cambiando.
Con il recente endorsement di Mario Draghi, ex presidente della Bce, uomo di conti e di finanza, madame Lagarde tira dritto, incurante del fatto che se da un lato prova a fare regredire l’aumento dei prezzi con il più facile strumento a sua disposizione, dall’altro sta mettendo in ginocchio famiglie e imprese. Ma tra Europa e Stati Uniti c’è una discreta differenza, non proprio trascurabile: in Usa l’inflazione è figlia di una anomalia economica interna, da noi perché con la guerra tra Ucraina e Russia – ma già precedentemente – sono venute a mancare le materie prime. Che sono ad ampio spettro: gas, petrolio, litio, terre rare. E sulle quali va fatta una riflessione a medio-lungo termine.
Se la situazione delle materie prime non migliora, l’Europa continuerà a essere prigioniera: della Russia e della Cina, comunque di Paesi che hanno ricchezze naturali esagerate e che le usano – logicamente – per cercare di stare a galla in un momento di contrazione dell’economia globale. Ed è qui che madame Lagarde, dal suo fortino tedesco, deve fare uno sforzo per capire che probabilmente devono esistere altre strade. Lei come frau von der Leyen, insomma come l’Europa tutta.
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