L’inverno che si avvicina, una recessione che avanza, l’energia che scarseggia e diventa merce costosa. “I prossimi mesi saranno difficili”, riconosce Paolo Gentiloni, che riassume meglio di altri il delicato momento che l’Unione europea e la sua area euro sono chiamati a vivere. Il commissario per l’Economia più che buoni auspici ostenta preoccupazione. “L’incertezza rimane elevata”, dice in occasione dell’Eurogruppo a Praga. “Una recessione non è inevitabile, ma il rischio è evidentemente aumentato”. Servono risposte, che l’esecutivo comunitario metterà a punto la prossima settimana. Perché, mentre nella capitale della Repubblica Ceca con la presidenza di turno del Consiglio dell’Ue si analizza la congiuntura economica, nella capitale dell’Unione europea si ritrovano i ministri dell’Energia, ed è a questi che spetta il compito di discutere nel dettaglio le misure per porre un freno all’impennata dei prezzi dell’energia.
È il rincaro energetico a trainare l’inflazione. Certamente serve “un buon pacchetto energetico”, su cui Commissione e Stati membri stanno lavorando, ma occorre anche altro. “ L’aumento del risparmio energetico, l’aumento dell’efficienza energetica e lo sviluppo di fonti di energia alternative fanno tutti parte della soluzione” al problema esistenziale che scuote l’Europa, incalza Gentiloni. È un lavoro che richiede sacrifici per le famiglie, perché risparmio vuole dire meno consumi. Ma è soprattutto uno sforzo per la politica, quella nazionale, che Christine Lagarde richiama all’ordine. “La Bce da sola non può ridurre il costo della bolletta elettrica né ridurre il costo del gas”, tiene a precisare la presidente della Banca centrale europea, riunita con i ministri dei Ventisette. “Questo spetta ai governi democraticamente eletti, in modo coordinato”. Fare le cose che si rendono necessarie, e farle per bene. “Abbiamo bisogno di risposte comuni, complementari e coordinate, che non si contraddicano tra loro”.
Eppure l’Ue continua a mostrarsi litigiosa. All’Ecofin che segue immediatamente la riunione dell’Eurogruppo, continua a non esserci quell’unanimità necessaria per imporre una tassa minima del 15% per le multinazionali che realizzano almeno 750 milioni euro di entrate finanziarie combinate. L’Ungheria continua a porre il veto, e allora Italia, Francia, Germania, Paesi Bassi e Spagna propongono di aggirare l’ostacolo con una soluzione nazionale. I cinque volenterosi iniziano a introdurre la tassa, in modo coordinato, e poi chi vuole può aderire. Non certo il miglior messaggio politico possibile, ma d’altro canto non si tratta più di una mera questione di equità fiscale. “Anche le grandi imprese devono contribuire alle spese della guerra”, da cui scaturisce quella crisi energetica che spinge Ue ed eurozona verso una nuova recessione e mesi difficili, fa notare Nadia Calvino, ministra delle Finanze della Spagna. Paschal Donohoe, che l’omologo irlandese di Calvino prima ancora che presidente dell’Eurogruppo, è d’accordo. “È chiaro che alcuni livelli di redditività eccellenti non dovrebbero essere vissuti da alcuni, mentre così tanti stanno soffrendo le conseguenze economiche di una guerra”. Un riferimento velato alla proposta di una tassazione degli operatori energetici per ridurre il prezzo di gas ed elettricità.
Nel dibattito politico irrompe l’industria, e nello specifico il comparto siderurgico. “Gli attuali prezzi del gas e dell’elettricità minacciano la sostenibilità della produzione in Europa”, avverte Axel Eggert, direttore generale di Eurofer, l’associazione dei produttori europei dell’acciaio. Servono “misure eccezionali e immediate da parte dei responsabili politici dell’UE per impedire la distruzione della base industriale europea”. Una richiesta di aiuto che suona da ulteriore campanello d’allarme, che riguarda da vicini l’Italia. A Eurofer aderiscono Arvedi, Riva, Metinvest Trametal, officine Tecnosider, oltre ad ArcelorMittal, che controlla l’Ilva di Taranto. In ballo c’è una buona fetta di economia italiana.
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