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FOCUS Francia, l’impronta digitale di carbonio rischia di triplicare entro il 2050

Secondo uno studio congiunto di Arcep e Ademe, le emissioni di gas serra dovute all’uso del digitale da parte dei francesi potrebbero moltiplicarsi per quasi tre entro il 2050 se non si interviene entro quella data. In questo scenario, l’impronta di carbonio del settore digitale (17 milioni di tonnellate di CO2 equivalente nel 2020, il 2,5% dell’impronta nazionale) aumenterebbe del 187% nel 2050, il consumo di metalli e minerali del 59% e il consumo di energia del 79%. La crescita prevista degli usi richiederebbe anche la creazione di nuovi data center, che rappresenterebbero il 22% delle emissioni a quella data. “L’analisi degli scenari di tendenza per il 2030 e il 2050 mostra che il settore digitale non rientrerebbe in una dinamica di decarbonizzazione e di riduzione dell’impatto ambientale”, conclude lo studio avviato dal governo nel 2020, in contraddizione con gli impegni presi dalla forma per ridurre drasticamente le proprie emissioni.

Per ridurre questi impatti entro il 2030, Arcep e Ademe hanno immaginato quattro scenari più o meno ambiziosi, che vanno da una semplice ecoprogettazione delle apparecchiature associata al prolungamento della loro durata di vita di un anno, a un approccio sobrio in cui i televisori verrebbero progressivamente sostituiti da videoproiettori (meno dispendiosi in termini di risorse) e in cui il numero di oggetti connessi non aumenterebbe. Quest’ultima ipotesi è l’unica che riesce a ridurre le emissioni (del 16%) nel 2030.

A più lungo termine, lo studio presenta anche diverse traiettorie per il 2050, che vanno da una “generazione frugale” che rinuncia all’intrattenimento digitale non necessario, soprattutto in mobilità (la rete mobile consuma molto più della fibra), a una totale “rivoluzione digitale” che si affida alla tecnologia futura per catturare e sequestrare il carbonio emesso nell’atmosfera. In quest’ultimo caso, “l’impronta di carbonio del settore digitale si moltiplica per il 372%. Inoltre, la sua necessità di un’ampia fornitura di materiali entra in competizione con altri settori economici essenziali per la transizione ecologica e solleva la questione della scarsità, o addirittura dell’esaurimento, delle materie prime”.
Sebbene l’impronta di carbonio annuale del settore digitale rappresenti il 2,5% dell’impronta nazionale, lo studio ha già dimostrato che i terminali sono responsabili della stragrande maggioranza degli impatti ambientali (tra il 64% e il 92%) secondo una dozzina di indicatori, seguiti dai centri dati (tra il 4% e il 22%) e dalle reti (tra il 2% e il 14%).

(AFP)

redazione

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