Con Green League scende in campo la sostenibilità

Da tempo l’Italia ha abdicato al ruolo di riferimento per il calcio europeo: gli anni Novanta sono lontani e lo status di modello da seguire è scivolato in Oltremanica, a quella Premier League – nata nel 1992 – che dopo un decennio di assestamento è diventata progressivamente il campionato più ricco, appetibile e seguito al mondo. Un destino che sembra ripetersi anche quando il tema – più attuale che mai – è quello della sostenibilità in ambito calcistico. Da Premier a Green League il salto è breve: in collaborazione con Sport Positive Summit, Nazioni Unite e BBC Sport, la Football Association ha creato una competizione parallela, regolata da una classifica che misura la sostenibilità delle 20 squadre iscritte e che matura non secondo vittorie, pareggi o sconfitte, ma mediante punteggi assegnati loro in base a una serie di impegni su efficienza energetica, trasporto sostenibile, riduzione di plastica monouso, gestione dei rifiuti, cibo a basse emissioni di carbonio, biodiversità, comunicazione ecc. In totale undici categorie, con due punti disponibili (più due punti bonus) per ognuna di esse, per un massimo di 24 punti. Un ulteriore punto bonus viene poi assegnato se il club è certificato per un sistema di gestione della sostenibilità riconosciuto a livello internazionale o se tiene traccia e riferisce sulla percentuale di tifosi che utilizzano vari mezzi di trasporto per le partite.

LA CLASSIFICA E GLI IMPEGNI

La Green League 2021 è stata ‘vinta’ da Liverpool e Tottenham – in un’ideale prosecuzione della finale di Champions League 2019 – con 23 punti ciascuno; terze Manchester City e Southampton, seguite da Arsenal e Manchester United. Lo ‘scatto’ delle prime due società si deve soprattutto all’efficacia delle loro campagne di comunicazione, nelle quali vengono utilizzati anche i giocatori per interagire tramite i canali tematici e nelle partnership con altre organizzazioni sostenibili.
Reds e Spurs sono anche tra i club più avanti nell’impegno a ridurre le emissioni del 50% entro il 2030 e raggiungere lo zero netto entro il 2040; ancora più ambizioso il Manchester City, che vuole raggiungere lo zero entro questo decennio. Il Liverpool ha anche piantato 900 alberi, siepi e piante selvatiche nel suo quartier generale e si è impegnato sul versante della protezione degli animali. Ma non sono soltanto le ‘big’ ad essere coinvolte, a dispetto della classifica: il già citato Southampton ha stilato un programma sulla mobilità 100% in bici, il Brighton fornisce prodotti sanitari gratuiti senza plastica a tifosi e atleti, il Norwich utilizza soltanto cibi da materie coltivate in casa.
E poi c’è il target principale dei club: i tifosi. Le partite sono sempre più uno show, una fonte di entertainment. Ma, contestualmente, sono anche causa di inquinamento: dal cibo (e packaging) all’emissione dei biglietti, fino agli spostamenti dei fan. In questo ambito un esempio virtuoso è il Tottenham: non è l’unico club che monitora i viaggi da e per lo stadio (tutti incoraggiano l’uso dei mezzi pubblici per raggiungere gli impianti), ma quello che dichiara di essere vicino al raggiungimento dell’obiettivo di non oltre il 23% dei tifosi (14.250 tifosi) che viaggiano in auto privata nei giorni delle partite.

IL CASO DEL FOREST GREEN ROVERS

La squadra più green d’Inghilterra, però, non è il Liverpool né il Tottenham. Ma chi quel colore lo porta nel nome: il Forest Green Rovers, club di quarta divisione con una storia bella e sostenibile da raccontare. I Rovers si chiamano Green da ben prima che il termine diventasse sinonimo di ecologico: addirittura dal 1889, anno della fondazione della società a Nailsworth, nella contea del Gloucestershire. È dal 2010, però, che è stata intrapresa questa strada con l’arrivo di Dale Vince, Ceo di Ecotricity, colosso mondiale dell’energia pulita, che dopo essere stato il maggior investitore della squadra ne è diventato presidente.
Il primo cambiamento ha riguardato le abitudini alimentari dei tesserati della società, che hanno iniziato a seguire una dieta vegana. La stessa alla quale vengono sensibilizzati i tifosi: se decidono di mangiare fuori dallo stadio ‘The New Lawn’ sanno già di trovare solo chioschi vegani. L’impianto è stato costruito nel 2006 e può contare su pannelli fotovoltaici che coprono il 10% del consumo di energia, un prato concimato con fertilizzanti naturali ed erba tagliata da un robot alimentato a energia solare. Il sistema di irrigazione, poi, sfrutta la raccolta dell’acqua piovana.
Ma è il progetto del nuovo stadio, l’Eco Park, che accenderà il cuore verde pulsante dei Rovers: un nuovo centro polifunzionale, dove giocheranno e si alleneranno tutte le squadre della società, realizzato interamente con materiale eco-sostenibile (prevalentemente legno) e alimentato da tecnologia eco-friendly. Basta? No, il verde dei Rovers è di una tonalità più accesa che mai: nel 2018 il club è stato insignito del riconoscimento di prima squadra al mondo a emissioni zero dall’Onu, anche grazie ad altre azioni: dalle maglie da gioco, realizzate con gli scarti del caffè e plastica riciclata, fino agli alberi piantati (dieci ogni gol segnato, un’iniziativa che in Italia è stata lanciata anche dalla Juventus). Un esempio virtuoso, che almeno in termini di salvaguardia dell’ambiente non ha nulla da invidiare ai giganti della Premier.

Nadia Bisson

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