Guerra e clima: il tormento delle orchidee della Thailandia

Pandemia, guerra in Ucraina, cambiamento climatico: le coltivazioni di orchidee della Thailandia sono in subbuglio, afflitte dall’aumento dei costi delle materie prime e dal calo della domanda. Il Paese, il più grande produttore ed esportatore al mondo di questi fiori recisi, ha circa 800 aziende agricole. Una su cinque ha chiuso dall’inizio della pandemia da Covid-19, secondo la Thai Orchid Exporters Association. Somchai Lerdrungwitayachai gestisce una coltivazione di 20 ettari nella provincia di Nakhon Pathom, 80 chilometri a nord-ovest di Bangkok. Negli enormi viali coperti per proteggere le fragili piante dal caldo soffocante, cresce una varietà unica: la Dendrobium Sonia, una specie ibrida con delicati petali bianchi e viola, molto popolare in Cina, Giappone e Stati Uniti. Circa 50 lavoratori tagliano i fiori, li immergono in una soluzione chimica, avvolgono gli steli in una fiala di plastica contenente vitamine e nutrienti per prolungare la loro freschezza fino a due settimane. Ma i tempi sono duri. Somchai ha attinto ai suoi risparmi per due anni per pagare i dipendenti. Il prezzo dei fertilizzanti e dei pesticidi “è salito del 30%” con la crisi sanitaria e la guerra in Ucraina, ha detto il coltivatore a Afp. E le vendite in Cina, che rappresentavano l’80% delle sue esportazioni prima della pandemia, sono arrivate ai minimi storici. “Nessuno compra orchidee e il trasporto è molto complicato“, spiega. Su strada, i suoi camion devono attraversare il Laos per raggiungere la Cina. I controlli messi in atto da Pechino tra i due paesi causano chilometri di ingorghi. I veicoli bloccati impiegano dagli otto ai dieci giorni per arrivare a destinazione, rispetto ai tre giorni precedenti.

SCARICATE SULLE STRADE

Peggio ancora, la frontiera a volte rimane chiusa e gli autisti sono costretti a scaricare a bordo strada i carichi che non sono sopravvissuti al trasporto. Mentre Somchai consegna i suoi fiori direttamente all’estero, la maggior parte degli agricoltori passa attraverso grandi esportatori con sede a Bangkok. Wuthichai Pipatmanomai, insieme a suo padre, gestisce la Sun International Flower, una delle principali società di esportazione. Prima della pandemia, l’azienda consegnava 3,6 milioni di orchidee al mese in Cina, Giappone, Vietnam e Stati Uniti. Oggi, solo 1,2 milioni escono dal suo magazzino e ha dovuto lasciare a casa la metà dei suoi dipendenti. Per lui, “il 2022 sembra ancora un brutto anno“. Il costo del trasporto aereo internazionale è “triplicato o quadruplicato” con l’aumento del prezzo del petrolio. Di conseguenza, ha dovuto aumentare il suo prezzo unitario del 20% e diversi importatori lo hanno abbandonato, soprattutto in Europa, preferendo concentrarsi su fiori locali. “Abbiamo chiesto alle autorità una compensazione finanziaria, ma non abbiamo ottenuto nulla“, dice Wuthichai, che è anche vicepresidente dell’associazione degli esportatori.

CAMBIAMENTO CLIMATICO

Il cambiamento climatico è un’altra preoccupazione. All’inizio di aprile, la temperatura è scesa da 36 a 21 gradi in un giorno nel centro del paese, un calo che ha avuto gravi conseguenze sulla produzione. “Temiamo che questo tipo di fenomeno si verifichi sempre più spesso“, dice l’esportatore. L’unica speranza è che le vendite in Giappone rimangano stabili e che quelle negli Stati Uniti siano in ripresa con l’inizio della stagione dei matrimoni e delle lauree. La speranza dell’esportatore è di vendere 20 milioni di orchidee quest’anno. Anche al mercato di Bangkok le vendite sono rallentate. Anche se il Paese ha riaperto ai turisti, “tutti hanno ancora paura di venire ai mercati“, dice Waew. “Ogni giorno, 600 fiori rimangono nelle mie mani“. Piuttosto che buttare via i fiori invenduti, li ricicla, tenendo solo i petali che vengono venduti a basso prezzo per le decorazioni.

(Photo by LILLIAN SUWANRUMPHA / AFP)

Nadia Bisson

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