Il dato dell’inflazione di settembre conferma le stime preliminari dell’Istat: +8,9% rispetto a settembre 2021 e +0,3% nei confronti di agosto. Senza gli interventi fiscali del governo, su bollette e combustibili, l’incremento sarebbe stato, a livello annuale, del +10,6%, una percentuale superiore a quella tedesca e alla media europea.
Consumatori e associazioni imprenditoriali parlano di stangata, di tragedia, di necessità di interventi immediati per salvare famiglie e aziende. Il prossimo governo sa che il carovita è una emergenza, tuttavia i dati diffusi questa mattina da Istat danno indicazioni su quale potrebbe essere la strada per tornare a una cosiddetta normalità. Normalità che tuttavia non contemplerà una inflazione bassa, perché i rincari extra-energia ed extra-alimentari sono arrivati al +5,5%.
Infatti i prezzi energetici sono in calo rispetto ad agosto. Nei confronti del 2021 parliamo di un balzo di oltre il 44%, ma su agosto comprare un -0,2%. Cosa significa? Che, nonostante il boom di gas ed elettricità di 50 giorni fa, la pressione sta scendendo. In compenso vola la spesa alimentare, figlia de caro-bollette che si trascina da un anno che ha contagiato tutta la filiera. E i prezzi alimentari, come quelli di alti settori, risentono anche di altre dinamiche, oltre a quelle energetiche: l’Italia e in generale l’Europa devono importare tanta merce per far funzionare il sistema. Devono importare energia, materie prime, microchips, cereali, etc… Finchè, causa guerra in Ucraina o blocchi straordinari legati magari alla pandemia, le catene di approvvigionamento soffriranno, i prezzi non scenderanno tanto facilmente. Il modello tedesco, basato su energia e import a basso costo, non regge i cambiamenti degli ultimi due anni.
Per raffreddare dunque i prezzi sarà necessario un cambiamento del sistema economico, puntando di più su produzione, a tutti i livelli, nazionale o continentale. Ovviamente con un incremento anche della produzione di energia, che passa da più rinnovabili a più rigassificatori, almeno nel breve.
La filiera agroalimentare, fa sapere Coldiretti, vale 575 miliardi di euro, quasi un quarto del Pil nazionale. Ciò nonostante è aumentata la dipendenza alimentare dall’estero: nel 2022 le importazioni di prodotti agroalimentari sono cresciute in valore di quasi un terzo (+29%). Considerando il trasporto e altre spese, è inevitabile un boom dei prezzi a livello finale. Inoltre con l’euro ai minimi da 20 anni sul dollaro, di fatto l’eurozona importa inflazione considerando che gran parte dell’energia è pagata in dollari.
L’ultimo report di Istat sull’import-export verso i Paesi extra Ue, segnalava che nei primi otto mesi dell’anno il deficit energetico ha raggiunto, in valore assoluto, quasi i 70 miliardi; nello stesso periodo, il disavanzo commerciale ha superato i 20 miliardi, a fronte di un avanzo di oltre 33 miliardi dei primi otto mesi del 2021. Se non si torna ad abbassare le importazioni, aumentando produzioni italiane ed europee, l’inflazione – non soltanto quella energetica – resterà intorno al 4-6% e il famoso 2%, tanto auspicato dalla Bce, sarà difficile da raggiungere anche alzando a tutta velocità il costo del denaro. Anzi, proprio una stretta continua e aggressiva rischia di ottenere effetti indesiderati, tipo recessione profonda o stagflazione.
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