Green Deal e transizione sostenibile, energia rinnovabili, riduzione delle emissioni a gas serra e mobilità elettrica. La politica dell’Ue si tinge di verde, sulla spinta di un’agenda fortemente voluta dall’attuale presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen. Per qualcuno una svolta, anche se l’impegno dell’Unione europea per ambiente e sostenibilità è una storia lunga quasi 50 anni. L’anno ‘zero’ è il 1973, quando viene approvato il primo programma di azione ambientale, che pone l’accento sul rischio inquinamento delle acque e stabilisce principi, obiettivi e misure da prendere per tutelare il patrimonio comune. La strategia si rese necessaria all’indomani della moria di pesci nel Reno nel 1969, prodotta dall’inquinamento delle acque del fiume. Fu questo l’inizio di un percorso tortuoso, non semplice, e pur destinato a proseguire nel tempo.
Altro momento chiave è il 1979, anno in cui la Commissione europea presenta la proposta di direttiva per la tutela e la protezione dell’avi-fauna. E’ la normativa più nota come ‘direttiva uccelli’ a segnare il vero punto di svolta e l’inizio delle politiche ambientali di un’Unione europea allora ancora Comunità economica europea e composta da appena nove Stati membri (Italia, Francia, Germania ovest, Belgio, Lussemburgo, Paesi Bassi, Danimarca, Irlanda e Regno Unito). Il Parlamento europeo non aveva ancora i poteri che ha oggi, si chiamava Assemblea parlamentare con funzione sostanzialmente consultivi. Eppure sono proprio i membri del Parlamento a spingere per una normativa in materia, di fronte a una Commissione restia a prendere iniziativa.
L’attrito inter-istituzionale si spiega con gli assetti dell’epoca. Nella Cee di allora, gli aspetti internazionali della conservazione della natura, inclusi gli uccelli migratori, ricadevano tra le competenza del Consiglio d’Europa, e dunque degli Stati membri. Per questa ragione la Commissione ritenne di non dover intervenire in un ambito riservato ai governi nazionali. L’Europa aveva provato, timidamente, a darsi delle regole. Nel 1967 il Consiglio varò due risoluzioni, una a sostegno della salvaguardia degli habitat naturali dell’avifauna e un’altra sui limiti alla caccia dei volatili, in particolare le specie migratorie. Un primo passo, a cui si oppose la comunità delle associazioni ambientaliste ed ecologiste. Servirà un’armonizzazione delle regole, troppo nazionali e quindi troppo diverse. Il dibattito era stato avviato e il percorso normativo avviato e fu in questo momento che il Parlamento europeo iniziò a insistere per una normativa europea in materia.
Nel 1970 l’allora commissario per l’Agricoltura, Sicco Mansholt, nel corso del primo dibattito d’Aula di sempre sull’inquinamento dell’acqua, riconobbe “il massacro degli uccelli” in atto nel territorio della Cee, aprendo alla possibilità di esplorare la possibilità di agire oltre i limiti della Commissione. Ci volle del tempo, ma nel 1976 la proposta di direttiva per la protezione degli uccelli venne messa sul tavolo, per essere approvata nel 1979. Oggi gli addetti ai lavori non hanno dubbi: il ruolo del Parlamento europeo fu decisivo, nel senso che senza quella pressione e determinazione non si sarebbe mai giunti alla direttiva in vigore tutt’oggi.
Le iniziative del 1973 e del 1979 sono considerate come l’inizio della storia delle politiche ambientali e sostenibile dell’Unione di oggi. Ciò è vero soprattutto per la ‘direttiva uccelli’, la prima vera iniziativa della Commissione europea. Un risultato allora non scontato, in una Cee per nome, definizione e mandato, concentrata quasi esclusivamente all’integrazione economica.
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