L’Europa sta spingendo per il rinnovo del parco auto circolante su tutto il suo territorio, mettendo al bando dal 2035 i veicoli alimentati a carburante diesel. L’obiettivo è puntare sull’alimentazione ‘verde’ come l’elettrico. In Italia, dal 25 maggio si aprono le domande per gli incentivi (fino a 5.000 euro con rottamazione) per l’acquisto di auto totalmente elettriche. Ma quelle rottamate che fine fanno?
Introdotta nel 2007, la direttiva europea sui veicoli fuori uso (n. 2000/53/CE) richiede alle case costruttrici di farsi carico di gran parte dei costi del processo di rottamazione dei veicoli che hanno prodotto e che ormai non hanno più un valore di mercato. Le case costruttrici, insieme ai loro centri di raccolta, devono raggiungere l’obiettivo di reimpiegare e recuperare il 95% del peso medio per veicolo per anno, con una percentuale di reimpiego e riciclaggio dell’85%, destinandone quindi allo smaltimento solo il 5%. Dell’auto, infatti, si possono recuperare metalli dalla carrozzeria, pneumatici, plastica e anche l’olio, che se trattato, può tornare ad essere utilizzato per altri veicoli. Tutto quello che resta dalla frantumazione del veicolo si chiama car fluff. Si tratta della parte ‘volatile’ dei rifiuti non ferrosi frantumati. Il car fluff, secondo le linee guida europee, dovrebbe diventare combustibile per l’industria o comunque avviato a un percorso virtuoso di messa in sicurezza, in quanto altamente inquinante e contaminate per il terreno e le falde acquifere.
Esattamente un anno fa, il ministero della Transizione ecologica ha definito lo stato di avanzamento dell’Italia nel perseguimento degli obiettivi della direttiva 2000/53/CE. Questa disposizione, come detto, prevede il raggiungimento di una percentuale di reimpiego e riciclaggio pari almeno all’85% del peso medio del veicolo, nonché di una percentuale di reimpiego e recupero pari almeno al 95%. Ebbene, con riferimento all’anno 2019, non si sono raggiunte queste percentuali. Il reimpiego e riciclaggio si è assestato all’84,2%, mentre le percentuali del reimpiego e recupero sono ferme all’82,6%. Tra le ragioni di questo ritardo c’è lo stato della rete impiantistica, che non raggiunge adeguati livelli qualitativi di trattamento del recupero e del riciclaggio.
Stando ai dati di Ispra, nel 2019 in Italia ammontava a circa un milione 300mila tonnellate il peso dei veicoli dismessi avviati a trattamento in 1.462 impianti di demolizione e in poco più di 30 siti di frantumazione, che hanno generato complessivamente 132mila tonnellate di componenti da avviare a riuso in forma di pezzi di ricambio e ben 956mila tonnellate di nuove materie prime per l’industria, soprattutto ferro. Il problema però resta il car fluff a causa, appunto, di mancanza di impianti.
Il 23 febbraio scorso l’Aira, associazione industriali riciclatori auto, ha inviato una nota al ministero della Transizione ecologica chiedendo un intervento del Governo per condividere una soluzione al problema rappresentato dal gap italiano nei confronti dell’obiettivo europeo di recupero totale dei veicoli fuori uso. Il mancato raggiungimento di questo obiettivo-target, secondo l’Aira è da ricercarsi in un “problema strutturale presente nell’attuale modello di governance di questa categoria di rifiuti” così come nel rischio rappresentato dall’eventuale introduzione di più ambiziosi obiettivi ambientali in fase di revisione della Direttiva da parte della Commissione europea.
“Il Mite – ha dichiarato al notiziario degli autodemolitori il presidente Aira, Stefano Leoni – sta elaborando un programma nazionale di gestione dei rifiuti, nel quale si dichiara che tra le sue finalità c’è anche quella di risolvere o prevenire procedure di infrazione nei confronti dell’Italia”. “Sarebbe un grave errore non cogliere simili opportunità, che consentirebbero di procedere in tempi brevi a risolvere tali problemi. Pertanto, abbiamo chiesto al Mite di aprire un tavolo di lavoro con tutte associazioni della filiera per definire proposte e soluzioni da introdurre nella riformulazione della disciplina europea”.
Nel suo rapporto “‘L’Italia del riciclo’ presentato a dicembre 2021 Ispra ha accennato alla questione dei veicoli a fine vita e alla difficoltà dell’Italia di raggiungere gli obiettivi europei. “Una delle cause del mancato raggiungimento dei target normativi – spiega l’Ispra – è data dalla difficoltà di intervenire da parte del centro di raccolta e dell’impianto di frantumazione nella fase di trattamento per la promozione del riciclaggio su alcuni componenti dei veicoli (ad esempio, cruscotti, imbottiture e rivestimenti dei sedili, ecc.), che per il momento continuano a essere assemblati in fase di progettazione/costruzione in maniera tale da rendere inefficaci le operazioni di recupero/riciclo. Altresì è opportuno richiamare l’attenzione su ulteriori due aspetti: il primo è che fino al 2020 la maggior parte dei centri di raccolta (autodemolitori) in Italia è rimasta sprovvista di un sistema di pesatura, questione che ha comportato l’inserimento in formulari e registri di quantità stimate e non reali, con evidenti ripercussioni sui dati inseriti nel Mud (modello unico dichiarazione ambientale). Dal 2021, invece ci sarà l’obbligo per gli stessi centri di dotarsi di un adeguato sistema di pesatura e di comunicare nel Mud il dato reale riferito al peso dei veicoli in ingresso. L’altro aspetto – conclude l’Ispra – è che si riscontra, nel campo della frantumazione di veicoli fuori uso e rottami metallici, la presenza di una moltitudine di micro-impianti che non sono dotati delle Bat (Best Available Techniques) e non hanno tecnologie che consentano un recupero spinto dei rifiuti derivanti dalla frantumazione stessa“.
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