La Germania non vuole nuovi piani per la ripresa per contrastare inflazione e aumento dei prezzi dell’energia. “NextGenerationEU è già la nostra risposta all’Inflation reduction act degli Stati Uniti”, scandisce il ministro delle Finanze tedesco, Christian Lindner, nel corso della conferenza stampa con il commissario per l’Economia, Paolo Gentiloni. D’altronde Berlino ha già varato un piano da 200 miliardi per sostenere famiglie e aziende tedesche vittime del caro-energia e dallo stop al flusso di gas russo. Solo a dicembre lo Stato ha pagato la bolletta a tutte le famiglie proprietarie. Inoltre da ottobre è stato aumentato il salario minimo. Ciò nonostante il Pil tedesco, nel quarto trimestre, ha perso lo 0,2%.
Prima contrazione della locomotiva d’Europa dopo il periodo Covid. “Dopo che l’economia tedesca ha resistito bene nei primi tre trimestri nonostante le condizioni difficili – scrive Destatis, l’istituto federale di statistica – la produzione economica è leggermente diminuita nel quarto trimestre del 2022. In particolare, i consumi privati, che avevano sostenuto il Pil nel corso dell’anno fino ad oggi, sono stati inferiori rispetto al trimestre precedente”. Col risultato degli ultimi tre mesi dell’anno, il 2022 si è chiuso per la Germania con un +1,8%, più o meno la metà di quello che domani mattina dovrebbe registrare l’Istat per l’Italia, diffondendo i numeri sullo stato dell’economia tricolore nell’ultimo trimestre dello scorso anno.
Il dato della Germania è stato peggiore delle attese che prevedevano una crescita piatta per il periodo ottobre, novembre e dicembre, aiutato dal crollo delle quotazioni del gas dopo il picco di fine agosto a oltre 400 euro/Mwh. Un dato che tuttavia non dovrebbe far cambiare idea alla Bce, chiamata giovedì a fornire nuove indicazioni sulla sua politica monetaria. Analisti, banche e gestori sono convinti che, scontato il rialzo del costo del denaro di 0,5%, i banchieri centrali rimarranno ‘falchi’, rimanendo aggressivi nella stretta. Anche perché la presidente Christine Lagarde, a dicembre, aveva già avvisato che per fermare la corsa dei prezzi è disposta a ridurre la domanda e quindi a sopportare una “contrazione” non forte dell’economia dell’eurozona.
Quello che però forse non ha considerato la Bce – come ha fatto capire anche il governatore di Bankitalia, Ignazio Visco – è l’effetto comunicativo della sua aggressività. Come si leggeva nell’ultimo report dell’indice S&P Pmi a gennaio “l’inflazione dei costi del terziario è scivolata ai minimi in 13 mesi”. Nonostante ciò “i prezzi medi di vendita di beni e servizi sono aumentati ad un ritmo lievemente maggiore rispetto a dicembre, con tassi di inflazione in lieve salita sia per il manifatturiero che per il terziario. Se per entrambi i settori i tassi di incremento restano fuori dai picchi recenti, la forte pressione al rialzo dei prezzi di vendita rispecchia in parte il tentativo di recuperare i margini, soprattutto a fronte di costi storicamente alti di energia e altre materie prime, ma anche dei crescenti costi salariali”.
Proprio gli aumenti delle buste paga sono i nemici della Bce, poiché alimenterebbero ulteriori rialzi dei prezzi, tuttavia il trend sembra già partito. “La dinamica retributiva si è lievemente accentuata da ottobre, anche per effetto dell’incremento del salario minimo in alcuni paesi, tra cui la Germania, i Paesi Bassi e, per l’indicizzazione automatica ai prezzi, in Francia, nonché per l’operare di meccanismi di indicizzazione su tutti i salari in altri Paesi, in particolare in Belgio. E in diversi Paesi – aveva evidenziato pochi giorni fa Ignazio Visco all”Ambrosetti club, phygital meeting’ -, sembrano esservi, nell’ambito delle negoziazioni relative ai rinnovi contrattuali, richieste di aumenti particolarmente elevati, anche per recuperare le perdite di potere d’acquisto per gli aumenti dei prezzi connessi con lo shock energetico“.
E dopo il dato sul Pil tedesco prendono ancora più forza altre parole dello stesso governatore della Banca d’Italia. “Non condivido talune dichiarazioni nelle quali si sostiene che nell’area dell’euro solo una recessione, più o meno profonda, consentirà di riportare l’inflazione in linea con il nostro obiettivo di prezzi stabili. Ritengo invece del tutto possibile che, come sta avvenendo in altri Paesi e come è peraltro in linea con le nostre previsioni, la crescita dei prezzi, che già mostra segnali di discesa, possa tornare al 2 per cento senza che le nostre misure arrechino all’attività produttiva e all’occupazione danni particolarmente gravi”.
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