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Campagne glaciologiche per proteggere i ghiacciai

È stato il primo ghiacciaio delle Alpi a ospitare uno slalom gigante, nel 1935. Poco più di dieci anni dopo vedeva installata la prima seggiovia d’Italia, vicino a quello che sarebbe poi diventato l’invaso artificiale del Fedaia. Una funivia, poi, da oltre cinquant’anni porta direttamente alla vetta di Punta Rocca. È anche una montagna che ha vissuto in modo unico la guerra mondiale: gli austriaci scavarono nel ghiaccio una città” fatta di 12 chilometri di tunnel. E che ha ricevuto appellativi come la ‘regina delle dolomiti’ e la ‘montagna perfetta’, per la possibilità di effettuare sia alpinismo sulla parete sud, sia discesa con gli sci dal ghiacciaio.

La timeline dei record della Marmolada racconta non solo il ghiacciaio più esteso e più studiato delle dolomiti. Ma anche il più infrastrutturato. O antropizzato.

Certo, non è qui la causa che ha portato al distacco del seracco di domenica 3 luglio, da ricercare invece in un riscaldamento climatico che è stato capace di ridurre la superficie e il volume del ghiacciaio dell’80% negli ultimi 50 anni. Ma porta comunque a farci immaginare un nuovo modo di vivere la montagna. Più lento e sostenibile.

La crisi del ghiacciaio può essere l’occasione per dare il via a un modello meno impattante” dice Mauro Varotto, professore al dipartimento di scienze storiche e geografiche all’università di Padova e responsabile delle misurazioni per il comitato glaciologico Italiano, “Significa abbandonare man mano l’approccio industriale al turismo e iniziare a ragionare su modalità più distribuite in termini stagionali e di frequentazione”.

Anche le soluzioni adottate ad oggi per proteggere il ghiacciaio sono, secondo Mauro Varotto, soltanto apparentemente risolutive. Come, per esempio, l’idea di coprire la superficie durante l’estate con teli geotessili: “Sono tecniche che permettono di proteggere lo strato di neve adatto allo sci invernale, ma non a salvare il ghiacciaio” dice Varotto, “senza contare che richiederebbero un investimento che va dai 5 ai 15 milioni di euro l’anno, e che il materiale posato rilascia microplastiche nell’ambiente”.

Il punto da non dimenticare, per Mauro Varotto, è che “le speranze per la Marmolada sono ridotte al lumicino”. Entro il 2035, o il 2050 nelle previsioni migliori, il ghiacciaio sarà scomparso o declassato a glacionevato. “Quello che, allora, possiamo fare è promuovere una funzione educativa del ghiacciaio” dice Varotto, che aiuti i cittadini a scoprire questo ecosistema stando al suo ritmo. “Non è impossibile riconvertire un settore quando sono le persone a chiedere una maggiore sostenibilità” conclude, “e nelle nostre campagne glaciologiche partecipate vediamo sempre più attenzione da parte dei cittadini. Sarebbe interessante veder sviluppati incentivi che appoggino offerte turistiche alternative”. Perché sostituire un settore economico è difficile. Ma affiancarlo con una nuova sensibilità è un primo passo.

(Photo credits: Pierre TEYSSOT / AFP)

Nadia Bisson

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