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Far nascere l’idrogeno verde da atomi di nuovi materiali

Un singolo materiale, come il grafene, ha determinate caratteristiche. Un singolo elemento, come il ferro, ne ha altre. Né l’uno né l’altro potremmo vederli in un elettrolizzatore per produrre idrogeno verde. Semplicemente non hanno le proprietà adatte. Prendete però due atomi di carbonio da uno strato di grafene e sostituiteli con un atomo di ferro: avrete un materiale nuovo, perfetto per produrre idrogeno dall’acqua.

Questa, almeno, è la direzione che sta prendendo la ricerca coordinata da Stefano Agnoli, del dipartimento di scienze chimiche all’università di Padova, che ha coinvolto anche i ricercatori dell’università degli studi di Milano-Bicocca. Per la prima volta hanno potuto osservare a livello atomico i singoli siti catalitici durante il processo di produzione dell’idrogeno. Testando nuovi materiali.

È un passo importante, perché ci avvicina, potenzialmente, a una produzione di idrogeno sempre più sostenibile. L’idrogeno verde si ottiene infatti attraverso l’elettrolisi dell’acqua alimentata da energie provenienti da fonti rinnovabili. Ma non sempre i costi di produzione rendono questa tecnologia ancora del tutto matura per accompagnarci nei processi di decarbonizzazione. Ecco perché la ricerca nel settore si sta in parte concentrando nello sviluppo di catalizzatori sempre più efficienti ed economici.

I catalizzatori più frequenti sono oggi costituiti da metalli nobili, come platino o rutenio. “Abbiamo visto che il ferro, che notoriamente non è un buon catalizzatore, diventava un elemento molto efficiente se inserito in uno strato di grafene” spiega Stefano Agnoli, “con il vantaggio di essere un materiale fra i più facilmente reperibili e distribuiti sulla Terra”.

In particolare, grazie a una tecnica basata sull’utilizzo del microscopio a effetto tunnel (capace di osservare superfici con risoluzione atomica) i ricercatori hanno potuto osservare direttamente la maggiore attività del nuovo materiale rispetto al più classico, e costoso, platino.

Questa ricerca non ha lo scopo di trasferire direttamente le conoscenze acquisite a un’applicazione tecnologica. Ma la tecnica utilizzata ha il potenziale per avere un impatto sempre maggiore sui settori industriali e dell’energia. E può aiutarci a immaginare dispositivi più efficienti per la produzione localizzata, che possano contribuire localmente a un processo industriale, o a ricaricare in futuro un’auto a idrogeno.

Nadia Bisson

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