Vanishing Glaciers studia i ghiacciai che si sciolgono e cancellano la vita

Cosa stiamo perdendo, oltre alle riserve d’acqua, con lo scioglimento dei ghiacciai montani? C’è un team internazionale di scienziati che sta cercando di scoprirlo con un lavoro esteso a tutte le principali catene montuose del Pianeta. Vanishing Glaciers è un imponente, ambizioso e innovativo progetto finanziato dalla Fondazione Nomis e realizzato dall’EPFL-Scuola Politecnica Federale di Losanna. Vanishing Glaciers significa Ghiacciai che scompaiono, ma l’oggetto dell’attività di ricerca non sono direttamente i ghiacciai bensì il censimento e lo studio delle comunità microbiche, ovvero batteri, alghe, funghi… che vivono nei ruscelli glaciali dei maggiori massicci montuosi del nostro Pianeta, minacciati dal riscaldamento globale. Si tratta di un lavoro immenso, imponente e unico: finora sono già stati effettuati campionamenti, ovvero raccolta di materiali poi studiati in laboratorio, su 155 ghiacciai. Il lavoro di raccolta verrà completato a luglio, con l’ultima spedizione sul campo in Alaska, si arriverà a 170.

Nel progetto sono coinvolti direttamente 16 scienziati da ogni parte del mondo e delle più svariate estrazioni e discipline. Uno di loro è italiano: Matteo Tolosano, biologo ambientale e naturalista di Dronero, in provincia di Cuneo, 30 anni. Matteo ha già un’ampia esperienza in missioni scientifiche nella natura più estrema e selvaggia, dalle isole Kergeulen al cuore delle foreste europee e ci aiuta a comprendere gli obiettivi, il funzionamento, la fatica e la meraviglia di un lavoro come questo. “Quella che facciamo è ricerca di base, ovvero: leggere la natura e aprire nuovi spiragli di conoscenza su ambiti di studio finora poco o per nulla indagati. Gli studi che stiamo effettuando forniranno gli elementi di base per successive ricerche e studi che produrranno applicazioni potenzialmente utili in qualsiasi campo: dalla medicina all’agricoltura. La domanda che spesso ci viene posta è: ma a cosa serve il lavoro che fate, qual è l’applicazione pratica? Ed è importante comprendere che nella ricerca di base non esiste una risposta, o ne possono esistere infinite. Senza questo tipo di ricerche, ad esempio, non esisterebbe la PCR, il processo che tra le altre cose ci permette di individuare il Coronavirus attraverso il prelievo con il tampone. Questo è reso possibile dall’enzima presente in un batterio scovato con la ricerca di base circa 40 anni fa nei pressi dei camini vulcanici sul fondale marino. Ecco, la nostra ricerca apre a potenzialità come quella su un orizzonte infinito e ancora non conosciuto”.

Avvicinandoci ad uno dei “vanishing glaciers” della Nuova Zelanda, il ghiacciaio Brewster

 

Lo studio è particolarmente prezioso perché va a indagare ambienti altamente a rischio a causa del Cambiamento Climatico: là dove il ghiaccio si trasforma in acqua e diventa ruscello. Con il riscaldamento quegli ambienti e forse anche quei corsi d’acqua sono destinati a mutare condizioni e scomparire. “Questa biodiversità invisibile ma preziosissima non vive solo nell’acqua – racconta Tolosano – non solo nei sedimenti ma anche sulle rocce: avete presente quella patina viscida che a volte le rende molto scivolose? Ecco, quello si chiama biofilm, una pellicola biologica ricca di microscopica biodiversità, ed è uno degli oggetti del nostro studio. Quindi: preleviamo campioni di acqua, preleviamo campioni di sedimenti e preleviamo biofilm. I campioni vengono messi in contenitori pieni di azoto a temperature inferiori ai -100° e poi portati in laboratorio dove si studieranno genetica e microbiolgia per individuare la presenza e la quantità dei vari microrganismi. Per semplificare molto: dobbiamo immaginare questi biofilm come delle giungle o savane, in cui ci sono il leone e c’è l’antilope; immaginiamo di individuare il batterio 1 che vuole uccidere il batterio 2 e per farlo usa un antibiotico e lo utilizza a una temperatura di 0 o 2 gradi; noi leggiamo questa realtà e la descriviamo, qui finisce il nostro lavoro. Ma questa ipotetica scoperta potrebbe essere utile in criomedicina. Quest’ultimo non è il nostro lavoro e l’obiettivo del nostro progetto, ma è un esempio puramente ipotetico di quanto lontano possa portare il nostro lavoro”.

La scienza ha bisogno di risorse importanti: maggiori sono, migliore può essere il lavoro svolto. E in questo senso Vanishing Glaciers è stato fortunato. “Spesso, nel mondo della ricerca le risorse sono incerte, arrivano a singhiozzo – spiega il ricercatore italiano – Con la Fondazione Nomis, il Politecnico di Losana ha invece potuto contare su un Team consolidato per tutti questi anni. In sostanza, ad esempio, noi quattro che abbiamo operato sul campo abbiamo lavorato in tutte le spedizioni e su tutti i ghiacciai, garantendo una consistenza e affidabilità assoluta nell’utilizzo dei protocolli. Un elemento fondamentale, che garantisce risultati perfettamente attendibili. Il team di campo è composto da quattro persone, un capo spedizione e tre tecnici. Il capo è Michail Styllas, un geologo e alpinista greco, esperto di 8000 e ultrarunner. Ha una grande esperienza in spedizioni e una capacità logistica incredibile. Vincent de Staercke è un ingegnere ambientale, Martina Schon è una laureata in geografia fisica, è la gliaciologa del gruppo. E poi ci sono io che sono un biologo dell’ambiente e naturalista, sono anche responsabile del materiale delle spedizioni. Il mix delle nostre competenze scientifiche e l’esperienza acquisita in passato nello svolgere attività in luoghi estremi hanno portato alla scelta delle persone e alla formazione del gruppo. Una chiave fondamentale del risultato, però, è la collaborazione con i collaboratori locali: portatori, guide, ecc… Persone fondamentali per il successo di campagne così complesse e che ci aiutano a conoscere e comprendere ancora meglio i luoghi straordinari in operiamo”.

Il team completo con portatori e guide ugandesi, di fronte al Ghiacciaio Stanley a 4800m sulle montagne del Rwenzori, Uganda

 

Con l’ultima spedizione in Alaska, tra poche settimane, il progetto arriverà a 170 ghiacciai campionati dal settembre 2018, momento di lancio di Vanishing Glaciers. “L’obiettivo di partenza era 200 – racconta Matteo Tolosano – ma con una pandemia in mezzo è stato straordinario arrivare a questo risultato, comunque unico. Bisogna considerare che per ogni ghiacciaio dobbiamo arrivare sul posto, portando tutta l’attrezzatura, svolgere i campionamenti e ridiscendere. Riuscire a fare 20 ghiacciai in un mese di campagna vuol dire tirare parecchio, con dislivelli e percorsi non sempre molto semplici, uno di seguito all’altro giorno dopo giorno, in ogni angolo del Pianeta. Siamo partiti dalla Nuova Zelanda, in cui siamo stati a inizio 2019. Nello stesso anno abbiamo poi fatto spedizioni in Groenlandia durante l’estate e Caucaso russo nell’autunno. Nel 2020, anno in cui è iniziata la pandemia, siamo stati in Ecuador e poi sulle Alpi, per evitare i problemi legati alla possibilità di viaggiare e alle quarantene: francesi, italiane, svizzere e austriache. Quindi siamo andati anche in Norvegia. L’anno scorso, nel 2021, abbiamo lavorato in Nepal, Kirghizistan e Uganda, dove abbiamo potuto campionare il ruscello glaciale che sorge da uno degli ultimi ghiacciai del continente africano. Nel 2022 siamo stati in Cile e chiuderemo con l’Alaska”.

Ma a quel punto non chiuderà il progetto, però, perché dovranno proseguire e completarsi le analisi su tutti i sedimenti prelevati. Per ogni giorno di campionamento ne occorrono molti di analisi in laboratorio. 170 giorni di campionamento significano alcuni anni di lavoro per completare la lettura di quegli ambienti unici e quegli organismi invisibili. Un lavoro immenso che ci permette di conoscere gli elementi essenziali alla base delle catene biologiche e alimentari, le chiavi per l’esistenza e lo sviluppo della vita che scorre a valle ignara ti tanta microscopica complessità.

Nadia Bisson

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