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Corsa mondiale al nucleare: prezzo uranio registra +80% annuale a massimi da fine 2007

Il petrolio Wti ha perso il 3% rispetto allo stesso periodo del 2022, il gas europeo è sotto del 61%, mentre l’uranio ha guadagnato quasi l’80% negli ultimi 12 mesi. La corsa al nucleare ha riacceso la domanda su uno degli ingredienti essenziali per lo sviluppo nucleare, che è diventato centrale dopo lo choc delle materie prime dello scorso anno tra guerra e inflazione e soprattutto dopo la Cop28 perché l’energia atomica è stata benedetta nella strada verso il Net zero.

I prezzi dell’uranio hanno messo a segno un balzo di circa il 5% tornando oltre 86 dollari per libbra, livello visto l’ultima volta ben prima del disastro di Fukushima ovvero nel novembre 2007. L’impennata deriva dal fatto che la domanda è elevata mentre l’offerta non tiene il passo. Anzi, il governo degli Stati Uniti sta per varare un divieto all’import di uranio dalla Russia, il principale fornitore mondiale di combustibile nucleare arricchito, amplificando i rischi di carenza poiché i produttori occidentali i quali già affrontano una crisi di capacità a causa proprio del parziale e volontario rifiuto da parte dell’Europa di comprare da Mosca.

Nel dettaglio la Camera dei Rappresentanti americana è decisa a varare un provvedimento che vieti le importazioni di uranio arricchito di origine russa, che attualmente rappresenta quasi il 25% del mercato statunitense. Mosca è il più grande arricchitore di uranio a livello globale, possiede il 46% del totale delle infrastrutture mondiali di conversione dell’uranio, mentre tre quarti del fabbisogno di combustibile nucleare degli Stati Uniti sono soddisfatti da combustibile di uranio importato. Se il testo dovesse essere approvato, il costo del combustibile nucleare potrebbe crescere del 13% per i reattori negli Stati Uniti, affermano alcuni analisi ad Oilprice.com. Comunque il divieto russo di importazione di uranio prevede una deroga temporanea fino a gennaio 2028, previa approvazione normativa da parte del Segretario dell’Energia degli Stati Uniti, anche se è improbabile che venga utilizzato frequentemente.

Sempre dal lato dell’offerta rimangono rischi di approvvigionamento dopo il colpo di stato militare del Niger e per la minore produzione della canadese Cameco. In generale dal 2019 in poi, il mercato dell’uranio ha registrato una carenza di offerta, esaurendo le eccedenze accumulate dall’incidente di Fukushima nel 2011. Questa scarsità ha fatto dunque salire i prezzi.

Dal lato della domanda, nel mondo 437 centrali nucleari sono già operative in 33 paesi e insieme forniscono circa il 10% del fabbisogno elettrico globale. Inoltre sono previsti un totale di 99 reattori nucleari, con oltre 300 altri reattori in fase di proposta. Solo la Cina punta a costruire altri 32 reattori nucleari entro la fine del decennio. Gli operatori energetici hanno acquistato più di 150 milioni di libbre di uranio nel 2023, un livello record dal 2012. L’Agenzia internazionale per l’energia sottolinea infine la necessità di raddoppiare le dimensioni dell’industria nucleare entro i prossimi due decenni per raggiungere gli obiettivi di zero emissioni nette. Il prezzo dell’uranio era intorno ai 25 dollari per libbra a fine 2019. Il rialzo in 4 anni è più o meno del 250%.

Chiara Troiano

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