“Ci appelliamo al Governo italiano, al neo Commissario europeo Raffaele Fitto, a cui facciamo i più fervidi auguri di buon lavoro, alle grandi famiglie politiche: popolari, socialisti, liberali e conservatori affinché si faccia il bilancio di questi anni, si intervenga sulle politiche sbagliate nei tempi e nei modi (come è stato nel caso della decarbonizzazione) o assenti del tutto (come è stato nel caso delle politiche industriali e dell’energia) per voltare pagina mettendo l’industria al centro. Perché senza industria, anche quella tradizionale e di base, non c’è Europa”. Antonio Gozzi, presidente di Federacciai, lancia l’allarme per la siderurgia italiana, colpita da una serie di problemi, in primis le norme green europee che rischiano non solo di mortificare il settore continentale, in particolare quello italiano, ma soprattutto l’intera industria a vantaggio di aree del mondo che le regole ambientali nemmeno le rispettano.
L’intervento di Gozzi durante l’assemblea di Federacciai a Vicenza ha lo sguardo che va oltre il 2030, perché in realtà, nel 2023, l’industria siderurgica italiana ha prodotto 21,1 milioni di tonnellate di acciaio, segnando una riduzione del 2,5% rispetto al 2022, ma mantenendo un fatturato significativo, stimato tra i 50 e i 60 miliardi di euro all’anno. La produzione di laminati a caldo ha registrato una flessione dell’1,5%, mentre i laminati lunghi, principalmente utilizzati nell’edilizia, hanno subito una contrazione del 2,6%. Al contrario, i laminati piani, impiegati nei settori automotive, meccanico ed elettrodomestico, hanno mantenuto una produzione stabile.
Il problema principale è quello dell’energia. Tuttavia, le imprese italiane continuano a fronteggiare sfide significative legate ai costi energetici. Nel 2023, le aziende energivore tedesche hanno pagato in media 65 euro/MWh per l’energia elettrica, mentre in Italia i costi superavano i 110 euro/MWh. Questa disparità genera un notevole svantaggio competitivo per il made in Italy a causa del mix energetico nazionale e della mancanza di un mercato elettrico interconnesso a livello europeo. Gozzi ha sottolineato come il sistema del “marginal price” unifichi il costo dell’energia da fonti rinnovabili e idrocarburi, aggravando ulteriormente il problema. Federacciai ha proposto un approccio unificato per l’utilizzo dei proventi d’asta ETS, ovvero le quote di carbonio compensative, evidenziando come paesi come Germania e Francia abbiano investito molto di più dell’Italia nella decarbonizzazione industriale. Un prezzo unico europeo per i settori ad alta intensità energetica – è l’auspicio di Federacciai – potrebbe aiutare a ridurre queste differenze.
Gozzi chiede una svolta normativa perché, se si parla di sostenibilità, l’elettrosiderurgia italiana è già prossima alla neutralità carbonica per quanto riguarda le emissioni dirette. Tuttavia, restano alcune problematiche legate alle piccole emissioni residue dai forni elettrici e dall’uso di gas naturale nei forni di riscaldo dei laminatoi. Per affrontare queste sfide, il settore sta esplorando soluzioni come il biometano e l’idrogeno. Il presidente di Federacciai evidenzia che l’energia elettrica acquistata dalla rete riflette il carbon footprint della produzione nazionale e solo un terzo proviene da fonti rinnovabili. Per raggiungere l’obiettivo del “net zero” o addirittura diventare “carbon negative”, sarà necessario un ulteriore terzo di energia elettrica a zero emissioni di carbonio. Molte aziende hanno già investito in impianti per la produzione di rinnovabili e stanno considerando di partecipare, sia singolarmente che in consorzio, alle gare per il rinnovo delle concessioni idroelettriche, auspicando che vengano bandite al più presto in conformità alle direttive europee.
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