Fmi vede crollo del petrolio, ma alza stime sull’inflazione che cala

Il Fondo Monetario internazionale, nel suo nuovo Outlook, alza le stime sull’inflazione mondiale, rivede al ribasso la crescita economica globale del 2023, +2,8% (ai livelli del 1990), ipotizza una Germania in recessione (-0,1%), ritocca all’insù di un decimo di punto il Pil italiano (+0,7%) e parla di scenario peggiorato. Incertezza.

Oltre al tema prezzi-guerra-inflazione, c’è anche il pericolo di una stretta monetaria dopo i crac statunitensi di marzo e da capire come agiranno le banche centrali: continueranno ad alzare i tassi rischiando un atterraggio duro dell’economia? L’Fmi ipotizza due scenari e in entrambi c’è una costante. Il prezzo del petrolio scenderà pesantemente rispetto al 2022. “Lo scenario di base ipotizza che le recenti turbolenze del settore finanziario non generino perturbazioni sostanziali dell’attività economica globale con una diffusa recessione. I prezzi dei combustibili e delle materie prime non combustibili sono visti in calo nel 2023, a causa del rallentamento della domanda globale. Il prezzo del greggio è previsto in discesa di circa il 24% nel 2023 e di un ulteriore 5,8% nel 2024, mentre i prezzi delle materie prime non combustibili dovrebbero rimanere sostanzialmente invariati“, si legge nel World Economic Outlook. Secondo scenario, più brutto.

Gli eventi recenti hanno rivelato come le fragilità più gravi del previsto in alcuni segmenti del sistema bancario degli Stati Uniti e di altre regioni possano provocare turbolenze nel settore finanziario. Sono plausibili ulteriori shock derivanti da tali fragilità, con un impatto potenzialmente significativo sull’economia globale“, dice l’Fmi, che “ipotizza un ulteriore moderato inasprimento delle condizioni di credito“. L’impatto complessivo sarebbe una minore offerta di credito e un aumento degli spread per imprese e famiglie. In questo caso lo stock di prestiti bancari reali negli Stati Uniti calerebbe del 2% nel 2023, rispetto al valore di riferimento”.

L’inasprimento” si dovrebbe comunque dissipare “gradualmente dopo il 2023“. Però “una diminuzione simile del credito e un aumento simile degli spread” si verificherebbe anche “nell’area dell’euro e in Giappone“. Infine “i Paesi” sarebbe colpiti inoltre “dalle ricadute commerciali e dall’impatto sui prezzi globali delle materie prime“. In questo caso Fmi “ipotizza che la politica monetaria risponda alla al conseguente calo dell’attività economica e alle pressioni inflazionistiche, con tassi di policy più bassi rispetto allo scenario di base“.

Banche centrali chiamate in causa anche sul fronte caldo, il carovita. “La previsione di base è che l’inflazione globale complessiva scenda dall’8,7% nel 2022 al 7,0% nel 2023. Questa previsione è più alta (di 0,4 punti percentuali) rispetto a quella di gennaio 2023 ma ma quasi il doppio della previsione di gennaio 2022. La disinflazione è prevista in tutti i principali gruppi di paesi, con circa il 76% delle economie che dovrebbe registrare inflazione complessiva più bassa nel 2023“, sottolinea il World Economic Outlook.

La disinflazione prevista riflette il calo dei prezzi dei combustibili e delle materie prime non combustibili, nonché i previsti effetti di raffreddamento dell’inasprimento monetario sull’attività economica. Allo stesso tempo, si prevede che l’inflazione che esclude generi alimentari ed energia cali a livello globale molto più gradualmente nel 2023: di soli 0,2 punti percentuali, al 6,2%, riflettendo la già citata vischiosità dell’inflazione sottostante. Una previsione, questa, più alta (di 0,5 punti percentuali) rispetto a quella di gennaio 2023. Nello scenario alternativo, che c’è anche nel caso dei prezzi, “con un ulteriore inasprimento delle condizioni di credito, l’inflazione globale complessiva diminuisce di circa 0,2 punti percentuali in più nel 2023, in parte a causa della discesa delle materie prime. I prezzi del petrolio diminuiscono del 3% in più, in media, nel 2023 rispetto allo scenario di base. E l’inflazione al netto dei generi alimentari e dell’energia subisce un ulteriore modesto calo“. Per questo – è l’invito finale del Fondo Monetario internazionale – “data l’elevata volatilità dei mercati mercati finanziari, le banche centrali dovrebbero essere pronte ad affrontare i rischi legati alla liquidità e al settore finanziario e ricalibrare con attenzione la politica monetaria, compresi i tempi e l’entità delle variazioni dei tassi di policy necessarie per allineare i tassi d’inflazione ai loro obiettivi“. Anche perchè – studi alla mano – “le stime del ritardo nella trasmissione della politica monetaria ai prezzi variano”. Ci sono “effetti quasi immediati e uno sfasamento di circa tre trimestri”, ma le stime indicano che si può arrivare anche a un ritardo di circa 1,5-2,5 anni. Sbagliare strategia potrebbe portare il mondo a un atterraggio duro dell’economia.

mariaelena.ribezzo

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