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Mosca rientra nell’accordo sul grano: “Avute garanzie”

La Russia rientra nell’accordo sul grano e i prezzi mondiali, che si erano impennati all’inizio della settimana, iniziano a scendere. Dopo giorni di tensioni, Mosca sostiene di aver ricevuto “garanzie scritte” dall’Ucraina sulla smilitarizzazione del corridoio utilizzato per le navi e accetta di tornare sui suoi passi.

Anche se, poche ore dopo, Vladimir Putin, in un discorso in diretta televisiva, si riserva “il diritto di ritirarsi in caso di violazione di queste garanzie“.

Nonostante la grave battuta d’arresto, il grano era sceso a 340,50 euro alla tonnellata alle 1330 GMT su Euronext, con un calo del 4,8% rispetto alla chiusura di martedì. La colza è scesa del 2% a 657 euro alla tonnellata, mentre il mais, molto volatile, è sceso dell’1,5% a 332,75 euro alla tonnellata.
Poco dopo l’apertura della Borsa di Chicago, il prezzo del grano SRW era quotato a 8,43 dollari al bushel, in calo del 6,59%. Il mais a 6,835 dollari è sceso del 2,04% e i semi di soia sono scesi dello 0,54% a 14,28 dollari.

Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, il cui Paese è garante di questo accordo cruciale per le forniture alimentari mondiali, conferma che le esportazioni riprenderanno entro mezzogiorno attraverso un corridoio sicuro. “I Paesi acquirenti, come la Turchia, hanno fatto forti pressioni per rinnovare l’accordo“, assicura Dewey Strickler, consulente di Ag Watch Market Advisors. Una telefonata di martedì tra Erdogan e Putin e l’intercessione dell’ONU, altro garante dell’accordo, sembrano aver convinto Mosca a riconsiderare la sua posizione.

La Russia ha sospeso la sua partecipazione all’accordo sul grano sabato scorso, dopo l’attacco di un drone alla sua flotta nella baia di Sebastopoli, nella Crimea annessa. L’esercito russo ha attribuito la responsabilità dell’operazione all’Ucraina con l’aiuto di “esperti britannici” e ha affermato che è stata condotta in particolare dal corridoio marittimo.

Il corridoio, aperto a metà luglio, ha permesso l’esportazione di quasi 10 milioni di tonnellate di grano ucraino bloccato nei porti del Mar Nero dall’inizio del conflitto, secondo il Centro di coordinamento congiunto di Istanbul. A ogni scossa geopolitica, è il grano ad essere al centro delle preoccupazioni, anche se il mais rappresenta quasi la metà dei cereali esportati via nave. “Il suo prezzo aumenta perché viene utilizzato per il consumo umano” e non per l’alimentazione animale, spiega Sébastien Poncelet di Agritel. Molti Paesi europei, come Spagna e Italia, sperano di rifornirsi di mais ucraino dopo un raccolto misero a causa della siccità. La guerra continua a ostacolare la semina del grano in Ucraina: la superficie seminata dovrebbe essere inferiore di circa il 40% rispetto all’anno scorso, spiega Sébastien Poncelet, anche se la stagione non è ancora finita.
Ci sono altri nodi legati in particolare al clima, come il deterioramento del raccolto di grano in Argentina, che soffre sia per la siccità che per le forti gelate. La Borsa di Rosario ha nuovamente rivisto al ribasso le stime sulla produzione annuale di grano, portandole a 13,5 milioni di tonnellate dai 22 milioni dello scorso anno, il che segnerebbe un minimo di sette anni.
Secondo Agritel, la scarsa quantità sta spingendo il governo argentino a voler “garantire il proprio mercato interno e a prendere in considerazione misure” per evitare che tutto il grano venga esportato.

Giulia Proietto Billorello

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