“Vladimir Putin non ha cancellato Greta Thunberg”, ovvero, la crisi energetica non può essere un alibi per frenare sulla transizione ecologica. È incisivo il ministro del Lavoro, Andrea Orlando, dal palco della quarta Conferenza Nazionale dell’economia circolare. Confessa di vedere il rischio di una “interpretazione dei fatti che porti a una risposta reazionaria, l’idea che la transizione sia un lusso per i tempi di pace”. Il momento, invece, è convinto, deve essere uno “stimolo” per accelerare sul processo di transizione, “abbiamo dalla nostra il Pnrr”.
La transizione green è un passo importante per l’Italia, ma perché venga compresa a pieno, spiega Orlando, “occorre cambiare la narrazione”, far capire alla popolazione che “il processo non sarà un bagno di sangue”. A patto che viaggi parallela a un potenziamento della circolarità nell’economia, perché “Non c’è solo un problema di cambiare il mix energetico, ma c’è un problema di produrre in modo diverso e di avere necessità di produrre meno”. Nell’analisi della transizione non bisogna dimenticare il tema della coesione sociale e della questione salariale: “Siamo un paese che ha i salari bloccati da 30 anni e se non c’è una ripresa della dinamica salariale avremo una reazione sociale a qualunque cambiamento molto pericolosa“, avverte.
Secondo l’ultimo Rapporto del Circular Economy Network, infatti, tra il 2018 e il 2020 il tasso di circolarità nel mondo è sceso dal 9,1% all’8,6%. Negli ultimi cinque anni i consumi sono cresciuti di oltre l’8% (superando i 100 miliardi di tonnellate di materia prima utilizzata in un anno), a fronte di un incremento del riutilizzo di appena il 3% (da 8,4 a 8,65 miliardi di tonnellate): sprechiamo quindi ancora una gran parte dei materiali estratti dagli ecosistemi. In più, in Italia, la crescita dei consumi è più veloce di quella della popolazione. “È evidente che questo crea un problema di prezzi e di accesso ai materiali, di qui la necessità di cambiare economia, aumentare la circolarità”, commenta il presidente del Cen, Edo Ronchi. Nel nostro Paese c’è un “perfetto accoppiamento tra Pil e import di materiali”, un modello, segnala Ronchi “Vulnerabile, altamente esposto alla volatilità dei prezzi e all’approvvigionamento. Dovremmo fare una riflessione specifica per avere più consapevolezza dell’importanza di aumentare la circolarità dell’economia”.
Molte materie prime mancano e, quando si trovano, i prezzi vanno alle stelle. Le responsabilità sono diverse: l’aumento della domanda, che è crescente; la crisi climatica, che diminuisce la capacità degli ecosistemi di offrire risorse; la pandemia, che ha imposto una lunga battuta d’arresto all’economia globale; il conflitto in Ucraina, che ha esasperato la fragilità energetica dell’Europa. La soluzione si chiama economia circolare. E anche se in Europa ancora non decolla, l’Italia è uno dei Paesi che “tiene”: nel quadro delle prime cinque economie europee si posiziona al primo posto per gli indicatori più importanti di circolarità, assieme alla Francia.
Buone notizie per l’Italia anche in tema di rifiuti: la percentuale di riciclo ha raggiunto quasi il 68%, è il dato più elevato dell’Unione europea. Al 2018 ha avviato a riciclo la quota maggiore di rifiuti speciali (quelli provenienti da industrie e aziende): circa il 75%. Per quanto riguarda i rifiuti urbani (il 10% dei rifiuti totali generati nell’Unione europea) l’obiettivo di riciclaggio è del 55% al 2025, del 60% al 2030 e del 65% al 2035. Nel 2020 nell’Ue 27 è stato riciclato il 47,8% dei rifiuti urbani; in Italia il 54,4%. Sempre nel 2020 i rifiuti urbani avviati in discarica in tutta l’Ue sono stati il 22,8%. Dopo la Germania, le migliori prestazioni sono quelle di Francia (18%) e Italia (20,1%).
Una transizione circolare, a ogni modo, è necessaria, in particolare nel nostro Paese, “vista la dipendenza totale dall’import delle materie prime critiche per il nostro sistema”, insiste Roberto Morabito, direttore del dipartimento sostenibilità sistemi produttivi e territoriali dell’Enea, che propone di puntare sull’eco-innovazione come motore principale dello sviluppo e chiede di sviluppare un programma nazionale di simbiosi industriale: “La Commissione europea – spiega – ci dice che un euro di investimento a supporto di Pmi produce 12 euro di vantaggi per le imprese in tema di risparmi, ma anche un notevole vantaggio per l’ambiente”.
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