“L’apporto del nucleare potrebbe supportare la transizione dei sistemi energetici, il nostro obiettivo è facilitare il raggiungimento dei target comunitari. L’integrazione del nucleare nel nostro sistema industriale potrebbe rafforzare la filiera industriale. Non si tratta di proporre il ricorso in Italia alle vecchie centrali nucleari di grande taglia ma di valutare le nuove tecnologie più sicure, quali gli small e micro modular reactor, i reattori nucleari di quarta generazione allo studio“. Ad annunciarlo è stato stamattina il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, in un videomessaggio inviato all’Italian Energy Summit del Sole 24 Ore. Accanto al progressivo aumento percentuale delle fonti di energie rinnovabili, “si prevede l’introduzione di nuove tecnologie, di combustibili verdi, alternativi che accompagneranno il graduale phase out del carbone. S’inquadra in questa attenzione a tutte le tecnologie green e alle esigenze di sicurezza e indipendenza energetica nazionale l’avvio della piattaforma nazionale per un nucleare sostenibile“, ha spiegato il ministro secondo cui “l’iniziativa ha l’obiettivo di definire in tempi certi un percorso finalizzato alla possibile ripresa dell’utilizzo dell’energia nucleare nel nostro paese attraverso nuove tecnologie sostenibili in corso di studio“.
Oggi il nucleare nel mondo “conta il due per cento, non è la soluzione a breve ma lo sarà forse tra ma a 10-15-20 anni. Vale la pena studiare tutti gli scenari possibili ma la priorità è nostra vulnerabilità“, ha indirettamente risposto al ministro Luca Dal Fabbro, presidente di Iren. “La dipendenza energetica dell’Italia verso alcune direttrici è ancora molto grande e molto grave – ha spiegato – la guerra non è finita, potrebbe evolvere in senso negativo e dobbiamo pensare al peggio se vogliamo essere un paese leader. Dobbiamo quindi investire nella diversificazione, nella rigassificazione aumentando numero di fonti, e in questo il rinnovabile e l’idroelettrico devono avere un nuovo impulso. E’ il momento di pensare a diversificazione più di prima perché la crisi potrebbe essere alle porte“.
Proprio per evitare un’altra crisi del gas come nel 2022, magari sul petrolio visti i prezzi di corsa verso i 100 dollari al barile, è il mondo intero, che ha impresso una decisa accelerazione sulle centrali nucleare. Una spinta che ha messo le ali al prezzo dell’uranio, salito a 70 dollari per libbra, il livello più alto prima del disastro di Fukushima a 73 dollari nel 2011, poiché la forte domanda coincide con scorte basse e minacce all’offerta. Si prevede che la Cina costruirà altri 32 reattori entro la fine del decennio e il Giappone ha dato il via libera a piani per riavviare più impianti e costruire nuove strutture, in linea con la revisione al rialzo della World Nuclear Association per la produzione globale, la quale ipotizza una domanda di 130.000 tonnellate nel 2040 di uranio, mentre la stessa è fissata a 65.650 tonnellate per il 2023. In generale ci sono circa 60 reattori in costruzione in tutto il mondo e altri 300 sono in fase di progettazione.
Questi sviluppi si scontrano però appunto con le rinnovate preoccupazioni circa l’approvvigionamento da parte della canadese Cameco, la seconda più grande miniera di uranio al mondo, che ha ridotto le sue previsioni di produzione per l’anno in corso. Nel 2022, l’azienda ha firmato un numero record di contratti di fornitura e servizi di conversione a lungo termine, che ne hanno accelerato la crescita. In particolare si è assicurata un contratto di 12 anni con Energoatom, la società statale ucraina per l’energia nucleare, e un accordo di 10 anni con la Bulgaria nel 2023. Tutti business che hanno praticamente raddoppiato il valore del titolo in Borsa.
Anche la Russia è leader nell’export di uranio. Infatti Usa e Ue hanno importato grandi quantità di combustibile nucleare e composti da Mosca per un valore che si aggira attorno agli 1,7 miliardi. Secondo la Us Energy Information Administration, lo scorso anno la Russia ha fornito all’industria nucleare statunitense circa il 12% del suo uranio. L’Europa ha riferito di ricevere circa il 17% del suo uranio nel 2022 da Mosca. La dipendenza dai prodotti nucleari russi lascia così gli Stati Uniti e l’Europa esposta a carenze energetiche se Vladimir Putin dovesse tagliare le forniture. E si prevede che la dipendenza dall’energia nucleare aumenterà man mano che le nazioni adotteranno alternative ai combustibili fossili.
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