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In Europa è battaglia per l’inserimento in tassonomia ‘verde’

Nucleare o non nucleare nel mix energetico del futuro dell’Ue. La necessità di ridurre la dipendenza dai combustibili fossili importati dalla Russia, costringe l’Unione Europea a ripensare le sue forniture di energia, soprattutto nel caso del gas naturale come fonte di transizione nel passaggio dal carbone alle energie rinnovabili. Da Mosca arriva oltre il 40% del gas importato in Ue e Bruxelles ha lasciato ai governi carta bianca su quando e come liberarsi dalle forniture di idrocarburi russi, dando il suo ok all’idea di prolungare – se pure “di poco” – l’uso delle centrali a carbone o del nucleare per la produzione di energia elettrica, evitando di ricorrere al gas come ponte di transizione.

La crisi dei prezzi del gas che va avanti dall’autunno ha rilanciato il fronte di chi vede nell’energia nucleare la migliore alternativa, nel breve periodo, al gas russo. L’Ue punta sulle energie rinnovabili, che ora sono più economiche e prive di carbonio ma non c’è ancora produzione su larga scala che consenta di affidarvisi completamente. Quindi Bruxelles è alla ricerca di una fonte più “stabile” per l’energia e guarda all’atomo. L’energia elettrica prodotta da centrali nucleari non produce emissioni di CO2 ed è questo il motivo per cui diversi Stati membri – e la stessa Commissione europea – continuano a sostenerne l’inclusione nel proprio mix energetico.

Sebbene sia una fonte energetica “pulita” perché a basse emissioni, gli Stati che la impiegano devono convivere con lo smaltimento di scorie e rifiuti radioattivi che restano sui territori per decenni. L’Italia, ad esempio, attraverso un referendum ha deciso di abbandonare la produzione di energia elettrica dal nucleare nel 1987, e ancora oggi sconta di non aver costruito un centro nazionale per lo stoccaggio e lo smaltimento dei rifiuti radioattivi.

In Europa c’è chi, come la Germania e l’Austria, hanno scelto di prolungare temporaneamente l’uso del carbone per ridurre la dipendenza da Mosca, chi, come la Francia o il Belgio, rilanciano la costruzione di nuovi reattori nucleari per la propria sicurezza energetica o ritardano la chiusura degli impianti esistenti. Il dibattito è più vivo che mai, dal momento che le istituzioni europee dovranno decidere nelle prossime settimane se inserire l’energia dell’atomo, insieme al gas naturale, nella lista delle attività economiche classificate come sostenibili, la cosiddetta Tassonomia verde dell’Ue. Un insieme di criteri comuni per mobilitare grandi somme di capitale (provenienti in particolare dal settore privato) in attività che possano contribuire ai suoi obiettivi climatici e ambientali.

Nel corso della prossima sessione plenaria che si terrà a Strasburgo dal 4 al 7 luglio, il Parlamento europeo si esprimerà su una risoluzione contro l’inserimento dell’energia nucleare e del gas naturale nella tassonomia. Il secondo atto delegato del regolamento della Commissione – quello che riguarda il nucleare e il gas – è stato adottato lo scorso 2 febbraio e presentato ai due co-legislatori di Parlamento e Consiglio per il voto decisivo.

Secondo la proposta della Commissione, per essere inseriti nella lista verde dell’Ue, i permessi per la costruzione di nuovi impianti nucleari non potranno essere rilasciati dopo il 2045 dagli Stati membri, mentre per estendere la vita degli impianti esistenti i permessi dovranno essere rilasciati entro il 2040. Le centrali serviranno per la produzione di elettricità o calore e anche la produzione di idrogeno, ma per poter costruire nuove centrali, gli Stati saranno vincolati a creare un fondo per la gestione dei rifiuti radioattivi e lo smantellamento degli impianti a fine vita. I governi dovranno mettere a punto un piano per fare entrare in funzione, al più tardi entro il 2050, un impianto a livello nazionale per lo smaltimento di rifiuti altamente radioattivi, sul quale riferiranno ogni 5 anni alla Commissione Ue.

Alla plenaria dell’Europarlamento servirà la maggioranza assoluta per opporsi al nucleare e al gas in tassonomia (353 voti). Molto più facile da raggiungere rispetto alla maggioranza rafforzata (20 su 27 Stati) che servirebbe in Consiglio. È proprio in Consiglio dove una maggioranza neanche si cerca ed è qui che è possibile osservare quanto sia cambiato l’approccio degli Stati membri negli ultimi mesi in relazione alla tassonomia, condizionato prima dall’aumento dei prezzi del gas e dell’energia e poi dalla guerra, che ha ricordato quanto l’Ue sia dipendente energeticamente da Stati terzi. A marzo di un anno fa c’erano solo Francia, Repubblica Ceca, Romania, Slovacchia, Ungheria, Slovenia e Polonia dichiaratamente a favore del nucleare nella tassonomia, oggi se ne contano oltre dieci con Bulgaria, Croazia, Finlandia, Romania, Slovacchia ma anche i Paesi Bassi. Poco si dice, però, di quanto l’atomo renda l’Unione dipendente dalla Russia, dal momento che nel 2020 il 26% dell’uranio arricchito (usato nella produzione di energia nucleare) era importato proprio da Mosca.

Giulia Proietto Billorello

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