L’Artico si scalda molto più velocemente. Cnr: “Fondamentale finanziare ricerca”

L’Artico è un eccezionale termometro della salute del Pianeta intero. Qui il riscaldamento globale corre più in fretta e gli scienziati stanno cercando di capire il perché.  L’aumento della temperatura è quasi tre volte quello della media mondiale, con alcune regioni che hanno un aumento fino a 2.7°C ogni dieci anni, cioè 5-7 volte il tasso di crescita globale della temperatura. Il ghiaccio marino si riduce, sia in estensione che in spessore, a una velocità che non ha precedenti. A questo si aggiunge la fusione del permafrost terrestre e subacqueo con l’accelerazione dell’immissione di gas climalteranti in atmosfera. La riduzione del ghiaccio marino favorisce poi un incremento del traffico navale nella regione, con un aumento dei rifiuti in mare e soprattutto delle emissioni di fuliggine, che “sporca” il ghiaccio riducendone la capacità di riflettere l’energia infrarossa.

Studi recenti confermano come anche gli incendi nella zona boreale – soprattutto nelle regioni siberiane come la Yakutia – stiano pericolosamente aumentando a causa della crisi climatica in atto. Si osservano anche importanti variazioni nella struttura e nella circolazione dell’oceano e dell’atmosfera, e impatti importanti sull’ecosistema. In questo quadro, “l’interpretazione dei dati raccolti ha un valore strategico altissimo”, sottolinea Maria Chiara Carrozza, presidente del Cnr, che presenta il Programma Nazionale di Ricerche in Artico, un progetto che ha anche l’obiettivo di sostenere la presenza diplomatica nell’area, attraverso la guida da parte del Comitato Scientifico Artico. L’Italia nella ricerca ha qualcosa da dire e “questa grande competenza acquisita può dare un ruolo sempre più importante al nostro Paese”, spiega, lanciando un appello perché si sostenga la ricerca con investimenti che “ci diano prospettive a lungo termine”.

Quello che succede in Artico, non resta in Artico, ma impatta anche le medie latitudini. L’estendersi in Europa, e fino al Mediterraneo, delle conseguenze dei fenomeni di riduzione dell’ozono che hanno caratterizzato l’Artico nel 2011 e il 2020, è stato messo in evidenza dai ricercatori italiani e danno il polso dell’interazione e interconnessione tra le regioni artiche e le nostre latitudini. Per questo, il Pra si è focalizzato sul fenomeno dell’“amplificazione artica”, sugli ecosistemi, sull’atmosfera e sulla colonna d’acqua dei mari artici, sulle ricostruzioni paleoclimatiche e sugli effetti della crisi climatica sulle popolazioni che vivono in Artico.

La norma istitutiva del Pra inserisce il Programma nel quadro delle collaborazioni internazionali dell’Italia relative all’Artico, con esplicito riferimento all’International Arctic Science Committee (IASC), al Sustaining Arctic Observing Network (SAON), al Ny Alesund Managers Committee (NyMASC), all’Arctic Science Ministerial (ASM) ed al Consiglio Artico. Recentemente, l’Italia ha acquisito una nuova nave da ricerca polare da parte dell’Ogs, la nave oceanografica Laura Bassi, che ha già effettuato una prima campagna, con tre progetti di ricerca co-finanziati su fondi Pra, e che auspicabilmente potrà tornare in Artico, in coordinamento con le attività previste in Antartide. A questa disponibilità si aggiunge, a partire dal 2023, quella della nave oceanografica del Cnr, Gaia Blu, in grado di svolgere ricerche in oceano e in aree polari artiche durante la stagione estiva.

Il progetto è stato finora finanziato con 1 milione di euro all’anno: il Cnr, attraverso il CSA, riesce a mettere a call circa l’80% di questo budget. Le call fatte finora sono state due per progetti di ricerca e una per potenziamento di infrastrutture di ricerca. E’ in uscita una terza call per progetti di ricerca, con un budget di circa 1,4 milioni di euro.

 

(Photocredit: Vittorio Tulli – Cnr)

Elena Fois

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