L’ex ceo di Audi Stadler condannato in Germania per il Dieselgate

Rupert Stadler, ex Ceo di Audi, è stato condannato in Germania a un anno e nove mesi con condizionale, ed evita il carcere grazie a una confessione tardiva sul suo ruolo nel Dieselgate. E’ il primo dirigente del gruppo Volkswagen a essere processato nell’ambito dello scandalo.

Oltre alla condanna a 21 mesi di carcere con sospensione della pena, Stadler è condannato a pagare una multa di 1,1 milioni di euro dal tribunale regionale di Monaco. È accusato di essere stato a conoscenza dell’installazione di un software illegale sulle auto per truccare le emissioni, senza essere intervenuto per bloccare la truffa.

L’ex amministratore delegato aveva contestato le accuse fin dall’inizio dell’indagine e per tutta la durata delle udienze. Ma a maggio ha accettato di ammettere la sua colpevolezza, su suggerimento del tribunale, per ricevere una pena più lieve dei dieci anni di carcere proposti.

Il ‘Dieselgate’ ha causato uno scandalo mondiale e danneggiato gravemente la reputazione dell’industria automobilistica tedesca. Nel 2015, in seguito alle accuse dell’agenzia ambientale statunitense (EPA), Volkswagen ha ammesso di aver dotato 11 milioni di motori ‘EA 189’ dei suoi veicoli diesel del software in grado di farli apparire meno inquinanti durante i test di laboratorio e su strada. I due coimputati di Stadler nel processo, Wolfgang Hatz, ex direttore di Audi e Porsche, e Giovanni Pamio, suo braccio destro all’Audi, hanno ammesso di aver manipolato i motori dei veicoli per garantire il rispetto dei valori legali dei gas di scarico durante i test su un ponte, ma non su strada. Il primo ha ricevuto una pena sospesa di due anni di reclusione e una multa di 400mila euro, mentre il secondo ha ricevuto una pena sospesa di 21 mesi di reclusione e una multa di 50mila euro.

Data la portata del caso, le pene relativamente clementi proposte dal tribunale sollevano critiche in Germania. “Un gigantesco scandalo economico, milioni di clienti truffati in tutto il mondo, miliardi di euro di multe per l’azienda – e l’unico alto dirigente ad essere processato finora se la cava con una pena così clemente“, tuona il quotidiano Süddeutsche Zeitung. L’accusa ha stimato che Stadler abbia causato danni per un totale di 69 milioni di euro, corrispondenti alla commercializzazione illecita di 26.546 veicoli nel periodo in questione.

Da allora, il gruppo Volkswagen ha dovuto pagare più di 30 miliardi di euro in rimborsi, risarcimenti e spese legali, la maggior parte dei quali negli Stati Uniti. Sebbene Stadler sia il primo dirigente Volkswagen a essere condannato nell’ambito dello scandalo, il suo processo lascia una serie di domande senza risposta: chi ha iniziato la frode? Quali altri dirigenti Volkswagen sapevano e hanno permesso che la frode continuasse? Tutti gli occhi sono puntati sul tribunale di Brunswick, non lontano dalla sede storica del produttore, dove nel settembre 2021 è iniziato un altro importante processo penale, che coinvolge quattro ex dirigenti Volkswagen accusati di frode. Le udienze sono previste fino al 2024, ma ancora senza il principale imputato, l’ex amministratore delegato della principale casa automobilistica europea all’epoca dello scandalo, Martin Winterkorn, che è stato esonerato dal processo per motivi di salute. Anche gli investitori chiedono un risarcimento legale, mentre il prezzo delle azioni Volkswagen è crollato di circa il 40% nei giorni successivi allo scoppio dello scandalo. Altri aspetti legali rimangono aperti, come ad esempio in Francia, dove a marzo la Corte d’Appello di Parigi ha confermato l’imputazione di Volkswagen per inganno aggravato. Il gruppo tedesco non è solo: anche Renault, Peugeot, Citroën e Fiat-Chrysler sono sotto inchiesta a metà del 2021. Le cicatrici del passato rimarranno ancora a lungo nella principale casa automobilistica europea, sotto la guida di Oliver Blume, manager arrivato dalla filiale Porsche per guidare la transizione del gruppo verso i veicoli elettrici e resistere all’ascesa dei concorrenti cinesi.

 

Photo credit: AFP

mariaelena.ribezzo

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