“Siamo chiari: quello che sta succedendo va trattato come un’emergenza, altrimenti non ne usciamo”. Così il direttore del Consorzio Prosciutto di Parma, Stefano Fanti. “La preoccupazione c’è, la paura per la peste suina qui è forte”, aggiunge in un colloquio con Repubblica. Negli ultimi mesi il cuore della Food Valley, Parma e il suo distretto del prosciutto, è sotto attacco con ritrovamenti di carcasse di cinghiali infetti da peste suina. In Emilia Romagna i casi sono ormai diventati 150 e crescono le segnalazioni ai confini, per esempio in Liguria. Per questa ragione “circa 15 stabilimenti specializzati in salumi ora non potranno più esportare in Canada. I canadesi non accettano prodotti provenienti da zone sotto restrizioni”, sottolinea Fanti. “Dal primo caso in Italia purtroppo c’è stato un riflesso importante, una bastonata per il settore, dato che Cina, Giappone e Messico hanno bloccato le importazioni. Da lì è iniziato un percorso per tentare di arginare i contagi fra cinghiali, ma è stato insufficiente a risolvere il problema”, spiega il direttore. Gli Stati Uniti non sono così severi, così come l’Australia: “Ma se non si lavora da subito per scongiurare la diffusione si correranno rischi seri: dovesse passare dai cinghiali ai maiali, in caso di diffusione negli allevamenti allora verrà a mancare la materia prima proprio come accaduto in passato a Pavia dove sono stati abbattuti migliaia di capi”.
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