I recenti dati economici provenienti dagli Stati Uniti mostrano segnali di rallentamento della crescita, suggerendo che l’economia americana stia perdendo slancio dopo mesi di performance positive. A febbraio, l’indice dell’attività manifatturiera della Fed di Dallas ha subito un netto calo, scendendo di 22 punti a -8,3, rispetto al picco di 14,1 di gennaio. Un altro indicatore chiave, l’indice delle prospettive aziendali, è diminuito di 24 punti, registrando un valore di -5,2, mentre l’incertezza sulle prospettive future ha toccato il massimo dei sette mesi, salendo a 29,2. Il settore manifatturiero continua a mostrare debolezza, con l’indice di produzione che è sceso a -9,1, un segno evidente di difficoltà nella produzione statunitense. Tuttavia, i prezzi delle materie prime e dei prodotti finiti sono aumentati, suggerendo una certa pressione sui costi.
A livello nazionale, il Chicago Fed National Activity Index è sceso a -0,03 a gennaio, in calo rispetto al dato rivisitato di dicembre (0,18), indicando una contrazione nell’attività economica complessiva. In particolare, la categoria dei consumi personali e abitazioni ha contribuito negativamente con -0,14, un ulteriore segno di rallentamento nei consumi.
Un altro dato significativo è arrivato la scorsa settimana dall’indice Pmi dei servizi, che a febbraio è sceso sotto la soglia di espansione, registrando 49,7 rispetto ai 52,9 di gennaio. Questa è la prima contrazione dell’attività del settore dei servizi in oltre due anni, un indicatore che evidenzia una perdita di slancio in un settore chiave per l’economia statunitense.
Anche le vendite di case esistenti hanno subito una flessione del 4,9% a gennaio, il calo più marcato in sette mesi, scendendo a un tasso annualizzato di 4,08 milioni. Questo segna un indebolimento nel mercato immobiliare, con un prezzo medio di vendita sceso dell’1,9% rispetto al mese precedente. L’aumento delle scorte di case invendute, che sono passate a 3,9 mesi di fornitura, aggiunge ulteriori preoccupazioni.
Il rallentamento però non sembra andare di pari passo con una discesa dei prezzi. Infatti anche l’inflazione preoccupa, con le aspettative dei consumatori riguardo all’andamento dei prezzi aumentate al 4,3% per il 2025, il valore più alto dal novembre 2023. A lungo termine, le aspettative di inflazione sono salite al 3,5%, il più grande aumento mese su mese dal maggio 2021. E questi rialzi hanno avuto impatti negativi sul sentiment dei consumatori, con un crollo del 19% nelle condizioni di acquisto di beni durevoli, in parte dovuto ai timori legati all’innalzamento dei prezzi causato dai dazi.
In mezzo a questo scenario incerto, il presidente della Fed di Atlanta, Raphael Bostic, ha sottolineato nel suo blog come la politica economica degli Stati Uniti sia sempre più influenzata da un clima di incertezza. Le preoccupazioni per le politiche fiscali, commerciali e di immigrazione, insieme alle fluttuazioni dei mercati, stanno creando un ambiente di decisioni difficili per i responsabili politici. Un ritornello simile a quello degli altri banchieri centrali della Fed, i quali pur rimanendo ottimisti sulla posizione economica, hanno espresso cautela, facendo riferimento alla difficoltà di prevedere gli effetti di eventuali cambiamenti nelle politiche economiche. Il termine “incertezza” è ormai ricorrente nelle dichiarazioni ufficiali, e i verbali dell’ultimo incontro della Fed evidenziano preoccupazioni sulla portata e sull’impatto dei cambiamenti nelle politiche commerciali e fiscali.
La Fed dunque sembra voler stare ferma sui tassi in attesa di capire l’effetto che avranno le politiche di Donald Trump, a partire dai dazi. Wall Street ha capito l’antifona e da tre sedute zoppica.
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