Dalla plastica al caffè: nasce la stampante 3D che utilizza i fondi usati

(Photo credit Michael Rivera)

Il caffè può fare molte cose: svegliare, riscaldare e regalare un momento di piacere. E, secondo un nuovo studio, potrebbe anche aiutare a ridurre i rifiuti della stampa 3D.
È questa la visione alla base di un nuovo progetto guidato da Michael Rivera, professore assistente presso l’Atlas Institute e il Dipartimento di Informatica dell’Università del Colorado Boulder. Insieme ai suoi colleghi ha sviluppato un metodo per stampare in 3D una vasta gamma di oggetti utilizzando una pasta fatta interamente di vecchi fondi di caffè, acqua e pochi altri ingredienti sostenibili.

Il team ha già sperimentato l’uso dei fondi di caffè per creare gioielli, vasi per piante e naturalmente, tazzine di caffè espresso. La tecnica è anche abbastanza semplice da poter funzionare, con alcune modifiche, sulla maggior parte delle stampanti 3D a basso costo e di tipo consumer.

“Si possono fare molte cose con i fondi di caffè”, spiega Rivera. “E quando non li vuoi più, puoi gettarli di nuovo in un macinino e riutilizzarli per stampare di nuovo”.
Il gruppo ha presentato i suoi risultati quest’estate alla conferenza Designing Interactive Systems dell’Association for Computing Machinery a Pittsburgh. Per Rivera, il progetto fa parte della sua missione di rendere la stampa 3D più sostenibile, consentendo ad artisti, designer, ingegneri e altri di realizzare rapidamente prototipi afferrabili e altri oggetti per la casa, senza incrementare le discariche.

Come prevedibile, l’idea è nata in una caffetteria. Quando Rivera era uno studente alla Carnegie Mellon University, lavorava spesso in bar di Pittsburgh, chiamata Arriviste Coffee Roasters. La caffetteria aveva stipulato un contratto con un gruppo locale che raccoglieva i fondi di caffè usati per il compostaggio, ma durante la pandemia COVID-19 questa attività si era interrotta e i rifiuti avevano cominciato ad accumularsi. Da qui l’idea di sfruttarli.

Come spiega Rivera, la maggior parte delle stampanti 3D sul mercato oggi utilizza termoplastica. La più comune è l’acido polilattico, o PLA, teoricamente compostabile, ma accettato solo da pochi impianti di compostaggio. “Se lo si getta in una discarica, dove finisce la maggior parte del PLA, ci vorranno fino a 1.000 anni per decomporlo”, dice il ricercatore.

Il metodo del team è piuttosto semplice: si mescolano i fondi di caffè essiccati con altre due polveri acquistate, cioè gomma di cellulosa e gomma di xantano, additivi comuni negli alimenti che si degradano facilmente in una compostiera. Poi si aggiunge l’acqua fino a raggiungere la consistenza di una pasta. Una volta essiccato, il materiale dei fondi di caffè è resistente come il cemento.

E anche se per Rivera la stampa con i fondi di caffè potrebbe non diventare una pratica diffusa, potrebbe rappresentare un passo avanti verso la scoperta di altri tipi di materiali sostenibili per la stampa 3D capaci, un giorno, di sostituire la plastica.

 

Elena Fois

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