Gas e tensioni in maggioranza, giorni caldi per il governo

Si vive un giorno alla volta. La settimana più calda della stagione politica – e non per questioni meteorologiche – deve essere vissuta per forza così: tra una maggioranza che non riesce a trovare la quadra sulla Risoluzione che oggi dovrà essere votata in Senato, dopo le comunicazioni del premier, Mario Draghi, in vista del Consiglio Ue del 23-24 giugno, e un razionamento dei flussi di gas deciso unilateralmente dalla Russia, con conseguente aumento dei prezzi di mercato.

L’unico imperativo per il governo è non fermare i motori in attesa che si sciolgano i nodi sulle volontà del Movimento 5 Stelle, che vive ore di turbolenza per lo scontro interno tra Luigi Di Maio, che rivendica l’atlantismo e l’appartenenza all’Ue, e Giuseppe Conte, che disconosce le voci di corridoio sulla linea che avrebbe voluto far imporre dai suoi emissari in Parlamento sullo stop all’invio di armi all’Ucraina. Addirittura con evocazioni di espulsioni (per il ministro degli Esteri) e scissioni nel gruppo parlamentare più nutrito della legislatura.

Anche se la mediazione tra le varie forze che sostengono l’esecutivo va per le lunghe, il mood che circola in queste ore è che una soluzione si possa trovare. Anche a ridosso dell’intervento di Draghi nell’aula di Palazzo Madama, ma che consenta comunque di lasciare l’agibilità politica a Palazzo Chigi nella situazione delicata in cui si trova il Paese. Perché dal sostegno all’Ucraina l’Italia non recederà in nessun modo, al massimo l’ipotesi è quella di un impegno a informare le Camere passo dopo passo, ad ogni decisione che verrà presa nei consessi internazionali. Anche sull’invio di materiale militare per consentire a Kiev la difesa dei propri territori dall’invasore russo.

A proposito di Mosca, dopo i tagli alle forniture di gas dei giorni scorsi (per i quali sono stati addotte motivazioni tecniche di rotture agli impianti senza possibilità di riparazioni veloci, perché le sanzioni impedirebbero l’approvvigionamento dei pezzi di ricambio), ad oggi non sono state comunicate variazioni sul trend. Ovvero, i flussi sono ancora irregolari anche se al momento non ci sono segnali di allarme sugli stoccaggi. Che, certo, stanno procedendo più lentamente di prima, ma comunque non si sono fermati. Del resto, lo stesso ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, in più occasioni, ha sempre spiegato che la luce rossa si accenderebbe solo nel caso in cui ci fosse uno stop totale prima della fine dell’anno. E comunque ha garantito, anche nelle ultime ore, che dopo l’attento monitoraggio dell’andamento delle entrate di gas nei siti di stoccaggio italiani, si deciderà come muoversi.

In poche parole, l’Italia vuole capire se si tratta di una “rappresaglia” della Russia (copyright del responsabile del Mite) o un reale intoppo tecnico che sarà risolto in tempi non eccessivamente lunghi.

Sulla strategia avranno un peso anche le conclusioni dell’incontro in programma oggi al ministero della Transizione ecologica, dove si riunirà il Comitato di monitoraggio sui flussi di gas, al quale prenderanno parte anche Arera, Snam (impegnata nell’acquisto delle due navi Fsru per la rigassificazione) e Terna, il gestore delle reti per la trasmissione di energia elettrica in Europa, che ha anche il polso della situazione sulle richieste di nuovi impianti di fonti rinnovabili. Piccolo spoiler: i dati sono sempre più positivi.

Domani, invece, Cingolani incontrerà i player, tra i quali ovviamente Eni ed Enel. Tirate le somme, con Draghi e gli altri ministri competenti il governo deciderà come muoversi.

Proprio domani il premier, se tutto filerà liscio oggi in Senato, riferirà anche alla Camera sul prossimo Consiglio europeo, nel quale tornerà a chiedere (con molta più forza di prima, anche in virtù dei tagli russi) il price cap Ue.

Tenendo presente che il piano di diversificazione delle fonti di approvvigionamento continua a ritmo spedito, anche se le nuove partnership non potranno incidere a pieno regime prima del prossimo anno, lo scenario italiano appare delicato. Ma almeno il pericolo di un’allerta massima non sembra essere all’ordine del giorno. 

dario.borriello

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