La sfida al cambiamento climatico, in agricoltura, parte da Israele. Noto per il clima arido e le risorse idriche limitate, è riuscito comunque a “trasformare il suo panorama agricolo attraverso innovazioni rivoluzionarie”. Raphael Zinger, ministro per gli Affari Scientifici ed Economici dell’Ambasciata d’Israele in Italia, spiega come il Paese sia diventato “leader globale nella tecnologia agricola, apportando contributi significativi a pratiche sostenibili e alla sicurezza alimentare”.
Pioniere nelle tecniche di irrigazione efficiente, Israele ha sviluppato sistemi di irrigazione a goccia avanzati che forniscono acqua direttamente alle radici delle piante, riducendo gli sprechi e massimizzando il rendimento delle colture. Un approccio che, spiega il consigliere, “non solo ha ridotto il consumo di acqua, ma ha anche aumentato la produttività, consentendo agli agricoltori di coltivare una varietà di colture in ambienti aridi”.
L’agricoltura israeliana ha poi abbracciato tecnologie all’avanguardia come l’agricoltura di precisione, l’automazione e l’analisi dei dati. Con l’uso di sensori, droni e immagini satellitari, gli agricoltori possono raccogliere dati in tempo reale sulle condizioni del suolo, la salute delle piante e i modelli meteorologici. Questo approccio basato sui dati, osserva Zinger, “consente un’allocazione precisa delle risorse, ottimizzando l’uso di fertilizzanti, pesticidi e acqua, con conseguente aumento dell’efficienza e riduzione dell’impatto ambientale”.
“Oggi fare agricoltura senza sistemi di irrigazione che possano o risultare d’emergenza o mediare le precipitazioni, è impensabile“, fa eco Aaron Fait, docente della Ben Gurion University, esperto di miglioramento delle colture agricole e vitivinicole in ambienti a scarsa disponibilità idrica e desertici.
Creare un sistema molto più efficiente è il punto di partenza. Questo “vale anche per il riciclo dell’acqua. Israele riutilizza l’80% dell’acqua, che viene tutta riutilizzata in agricoltura. Dopo Israele c’è la Spagna con un 40%“, rivendica.
Anche rispetto all’aumento di temperatura, si può fare qualcosa per difendere le piante. Ad esempio, si possono “creare dei modelli per riuscire ad anticipare le ondate di caldo torrido durante la stagione della crescita della pianta, arrivare sul campo e creare strategie per mitigare l’innalzamento della temperatura“, afferma. “Si possono poi proteggere i frutti da radiazioni solari, si possono avere reti che proteggono il frutto in periodi specifici della stagione. A livello tecnico e agronomico abbiamo molte possibilità“.
La viticoltura nel deserto del Negev può essere un modello per l’Europa, anche per il futuro, in considerazione del cambiamento climatico e della necessità di adattamento: “Un aumento di temperatura di 2 gradi potrebbe portare a una perdita del 50% delle varietà delle viti, se non viene mantenuta la biodiversità”, spiega Fait. Allo studio, fa sapere, ci sono “varietà di viti che resistono meglio al surriscaldamento globale”.
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