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Nucleare di quarta generazione, Dodaro (Enea): “Strada giusta ma ancora lunga”

Più sostenibile, sicuro, resistente alla proliferazione e economico, o quantomeno non più costoso rispetto a oggi. Sono le promettenti caratteristiche del cosiddetto nucleare di quarta generazione, una tecnologia sulla quale ha dichiarato più volte di voler puntare lo stesso ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani.

Se le prime tre generazioni di reattori presentano una filosofia simile e derivano da progetti nati alla fine degli anni 40 e poi affinati per migliorarne efficienza e sicurezza, la quarta generazione promette di superare alcune delle principali criticità collegate alla produzione di energia nucleare. Dispositivi come i reattori veloci refrigerati a piombo (LFR), sui quali già da più di 20 anni sta lavorando Enea, rappresentano la quasi esclusività delle attività di ricerca e sviluppo nel settore in Italia. A delinearne i potenziali vantaggi parlando con Gea è Alessandro Dodaro, direttore del Dipartimento Fusione e Tecnologie per la sicurezza Nucleare Enea. “Il nucleare di quarta generazione non utilizza uranio-235 bensì uranio naturale che non viene trasformato in rifiuto radioattivo. Si può così arrivare a eliminare il 99% di quelle che sono chiamate volgarmente scorie radioattive”, spiega innanzitutto. A questo aspetto ne è legato un altro molto importante, quello della resistenza alla proliferazione degli armamenti nucleari visto che “diventerebbe inutile recuperare l’uranio-235 a partire dall’uranio naturale presente nel combustibile per realizzare ordigni: è un aspetto cruciale a livello di sicurezza”, ricorda Dodaro. Sicurezza che riguarda anche i reattori, dotati di sistemi passivi basati su leggi fisiche e non sull’intervento dell’uomo o sulla disponibilità di energia elettrica, capaci di attivarsi in automatico in caso di incidente. Un’altra Chernobyl, insomma, non sarebbe più possibile: il reattore tende spontaneamente a una condizione stabile e sicura. Infine, l’efficienza. L’esponente di Enea prova a esemplificare i vantaggi attraverso semplici numeri. “Con un reattore di quarta generazione raffreddato a metallo liquido, se il nocciolo produce 1.000 di energia, 400 vanno in corrente elettrica, 250 si possono sfruttare per altri scopi come generare idrogeno o il teleriscaldamento, e solo 350 viene disperso nell’ambiente. Con i reattori attuali invece tutto ciò che non diventa energia elettrica viene perso”.

Non è però tutto oro quel che luccica. C’è un grande ostacolo da superare per arrivare a utilizzare su larga scala sistemi nucleari di quarta generazione. “La difficoltà principale è gestire il metallo liquido che deve muoversi e assorbire calore dal nocciolo del reattore – afferma Dodaro -. Il piombo liquido è dieci volte più denso dell’acqua ed è quindi impossibile movimentarlo con i sistemi tradizionali. Occorre trovare un modo per gestire la parte termofluidodinamica del reattore”. I costi invece non rappresentano un problema, quantomeno se rapportati a quanto si spende oggi per produrre energia nucleare. “Bisogna considerare il costo del kilowattora di energia, comprendendo sia la spesa per la costruzione dell’impianto sia i costi successivi per lo smaltimento dei rifiuti radioattivi e quelli per lo smantellamento del reattore una volta finito il suo ciclo di vita – afferma Dodaro -. Un reattore di quarta generazione ha un costo di costruzione dell’impianto simile a uno di terza, ma avrà costi decisamente minori legati ai rifiuti e allo smantellamento, visto che ha dimensioni minori rispetto a uno di terza. Il costo finale sarà, se non più basso, almeno uguale a quello attuale”.

Nonostante negli ultimi tempi il dibattito sul nucleare si sia riacceso, complice anche la crisi energetica generata dal conflitto russo-ucraino, la strada per gli impianti ‘generation four’ è ancora piuttosto lunga. Secondo Dodaro, “bisognerà attendere il 2035 per i prototipi più consolidati di quarta generazione ‘classica’, e almeno il 2040 per vedere questi impianti pienamente operativi. Ci sono però progetti per reattori di taglia più piccola, come quelli su cui stiamo lavorando con al strat-up newcleo, che hanno orizzonti temporali più brevi e potrebbero concretizzarsi già attorno al 2030”.

(Photo credits: Sameer Al-DOUMY / AFP)

Nadia Bisson

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