Un anno di governo Meloni: Borsa e fiducia su, mentre prezzi, bollette e industria giù

Il 22 ottobre di un anno fa Giorgia Meloni e i ministri del suo governo giuravano davanti al capo dello Stato. Quasi un mese dopo le elezioni, quel sabato mattina al Quirinale partiva ufficialmente l’azione politico-amministrativa della maggioranza di centrodestra.

All’epoca la tensione era alta, sulla scia della guerra in Ucraina, sul fronte gas. Ad agosto il prezzo nella borsa di Amsterdam era arrivato a toccare i 350 euro per megawattora. Si ipotizzava addirittura un lockdown energetico in caso di un inverno particolarmente freddo e un problema sulle forniture. Inoltre l’esecutivo italiano era in prima fila a Bruxelles per imporre un tetto al prezzo del metano, poi partorito a dicembre.

Altro fronte caldo, derivante proprio dal caro-bollette e non solo, era l’inflazione: +11,8% quella certificata da Istat ad ottobre, record da 40 anni. Il carrello della spesa iniziò a diventare proibitivo per alcuni, tant’è che i consumi – fino ad allora sostenuti come risposta al dopo pandemia – hanno iniziato a scendere in volume.

Palazzo Chigi varò comunque una legge di Bilancio che conteneva numerosi bonus energia per famiglie e imprese, ma per non stressare ulteriormente i conti pubblici, decise di revocare prima a dicembre e poi a gennaio 2023 gli sconti sulle accise dei carburanti. Risultato: il prezzo di benzina e diesel a Capodanno fece un balzo di circa 30 centesimi. Rincaro che scatenò la protesta dei consumatori e che portò a un decreto cosiddetto anti-speculazione che – nonostante i vari embarghi e price cap imposti su petrolio e carburanti russi – incontrò un inaspettato calo delle quotazioni del greggio, tirate giù dalla debolezza cinese che invece si pensava fosse più forte dopo l’eliminazione delle ultime restrizioni Covid.

Contemporaneamente un inverno mite permise un calo della domanda di gas e la moltiplicazione di rigassificatori in giro per l’Europa attenuò le tensioni sul prezzo che scese di oltre l’80% dai massimi nel 2022 nei primi mesi di quest’anno. Tutto ciò ha contribuito a ridurre l’inflazione, che a settembre – ultimo dato disponibile – è calata al 5,3%. Dimezzata in pratica nei confronti del picco proprio di ottobre-novembre dello scorso anno.

I prezzi hanno iniziato a scendere anche perché quelli alla produzione hanno subito momenti quasi di deflazione, una tendenza innescata dalla stretta aggressiva decisa dalla Banca centrale europea nel tentativo di portare l’inflazione al 2% classico. I tassi di interesse sono saliti ininterrottamente fino a settembre arrivando al 4,5%, top da quasi 15 anni. Un costo del denaro più caro ha spinto mediamente gli interessi sul credito al consumo al 10,6% e quelli sui mutui al 4,6% ad agosto, in base alle ultime rilevazioni di Bankitalia. Per un Paese come l’Italia, seduto su oltre 2.800 miliardi, tassi così alti significano maggiori costi per alimentare questa massa di indebitamento. Tant’è che nella recente Nadef presentata dal governo si ipotizza che fra tre anni gli interessi arriveranno a costare qualcosa come 100 miliardi l’anno. Risorse ovviamente che vengono tolte da eventuali politiche di sviluppo. Per quelle c’è solo il Pnrr, che per metà è comunque altro debito, con l’Italia che pende sempre più dai verdetti di Bruxelles per poter incassare gli assegni legati alle varie tranche. Ora si attende la quarta.

Nonostante mutui e prestiti più cari, una frenata dei consumi, un‘industria in netta frenata e un petrolio sui massimi del 2023, complice anche la recente guerra scoppiata in Israele, la fiducia dei consumatori italiani – secondo l’Istat – è nettamente superiore a quella di un anno fa, lo spread è più basso rispetto ad ottobre 2022 e Piazza Affari è a +27% nei confronti di un anno fa. Il dato del Pil del terzo trimestre – che sarà pubblicato a fine mese – sarà decisivo: dopo il -0,4% di aprile, maggio, giugno in parte generato dalla maxi alluvione nella ricca Emilia-Romagna, bisogna vedere se l’Italia entrerà in recessione tecnica o se il turismo aiuterà il governo a confermare le stime di un +1,2% per quest’anno. Finché c’è Pil, c’è speranza. La Germania, in forte contrazione, lo sa bene.

mariaelena.ribezzo

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