Categories: Clima e ambiente

Slow Food: “Le carni sintetiche sono l’affare del futuro”

Carne sintetica, farina di grilli e larve. Secondo chi sta sperimentando i cosiddetti ‘novel food’, quelli cioè o inventati in laboratorio o a base di insetti, sono il cibo del futuro. E lo sarebbero per il suo valore etico, visto che eviterebbero la macellazione di animali, nel caso della carne, ma anche ambientale, perché consentirebbero di fare a meno degli allevamenti. Etica e ambiente ne accompagnano la narrazione, soprattutto negli Stati Uniti. E ora anche in Europa: la Commissione Ue ha infatti autorizzato l’immissione nel mercato europeo di vermi della farina e dell’uso alimentare del grillo domestico in polvere. Per quanto riguarda la carne sintetica, la direzione sembrerebbe quella di approvarne la vendita, a patto che si rispettino gli standard nutrizionali.

Ma, a ben guardare, “sembra più l’affare del futuro per un bel po’ di gruppi finanziari e multinazionali. Il rischio evidente è che il cibo, diventato una commodity, una merce di scambio sui grandi mercati internazionali come tante altre, diventi oggetto di una deriva tecnologica che lo priva di qualunque significato culturale, del legame con i territori e con le comunità che ci vivono, con i loro saperi e tradizioni”. È quanto dichiara Barbara Nappini (nella foto), presidente di Slow Food Italia. Per l’associazione fondata da Carlo Petrini, infatti, sotto il profilo ambientale l’impatto della carne sintetica è tutt’altro che indifferente, per via dei grandi consumi energetici dei bioreattori necessari alla sua produzione. “Un dato importante, ma non sufficientemente rilevato, – spiega Nappini – è che i prodotti a base di carne coltivata sono iperprocessati, contengono coloranti, aromatizzanti, addensanti, necessari per conferire loro la forma di hamburger o crocchetta, per dare consistenza e sapore di carne. La carne è sviluppata grazie a ormoni e lieviti ogm. Come del resto i sostituti della carne a base vegetale, già sul mercato anche in Italia”.

Secondo la filosofia di Slow Food il futuro di una produzione alimentare buona, pulita e giusta per tutti sta in una scelta più consapevole delle proteine da portare in tavola. Ad esempio, ridurre i consumi di carne e privilegiare, in alternativa alle carni da allevamenti industriali, prodotti di aziende sostenibili dove gli animali sono allevati con rispetto. Oppure, la riduzione nel consumo di carne può essere compensata con legumi da coltivazioni che rispettano la terra e non con la soia proveniente da altri continenti. “Non c’è bisogno di altri sostituti altamente processati”, continua Nappini che solleva il tema dei finanziatori del settore della carne sintetica. “Alcuni di questi sono le stesse multinazionali responsabili dei danni prodotti dal sistema agroalimentare e zootecnico negli ultimi decenni – spiega. – Tra i finanziatori della ricerca sulla carne in vitro ci sono ad esempio anche Cargill e Tyson Foods. Come evitare che questo nuovo mercato sia occupato e controllato da potenti corporations? A breve la UE affronterà decisioni analoghe e i consumatori dovranno essere tutelati”.

In questo senso SlowFood chiede trasparenza in etichetta perché “è lo strumento più importante a disposizione dei consumatori per sapere cosa mettono nel carrello e fa parte di questo principio non consentire l’uso di termini fuorvianti”. “Se vengono definiti in etichetta i prodotti da agricoltura cellulare con termini quali “carne” o “hamburger” o “bistecca”, la confusione sul mercato sarà totale”, continua Nappini. Già nel 2020 Slow Food aveva realizzato la ricerca ‘I sostituti della carne’, esaminando vari studi scientifici per approfondire gli effetti della loro introduzione sul mercato, con un’attenzione particolare alle implicazioni sulla salute umana, l’ambiente, il mondo produttivo. “Il marketing sbrigativo a favore della carne coltivata e dei sostituti della carne ottenuti da cellule vegetali, potrebbero colpire non solo l’allevamento industrializzato che sta minando le risorse del pianeta, ma anche gli allevatori sostenibili e virtuosi, più fragili, già penalizzati dal mercato e poco sostenuti delle istituzioni”.

marika.demaria

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