Le città circolari, una sfida per il futuro: l’esempio europeo di Amsterdam

Ridurre, riutilizzare, riciclare: sono le tre ‘R’ dell’economia circolare, i pilastri che definiscono un modello di produzione e consumo chiamato a minimizzare, se non a eliminare del tutto, sprechi e rifiuti. E circolari dovranno essere anche le città del futuro, pensate come ecosistemi in grado di garantire competitività economica, sostenibilità ambientale e inclusione sociale. Se è vero che nel 2050 il 68% della popolazione mondiale vivrà in aree urbane (stima della Fondazione Ellen MacArthur), si può facilmente intuire quanto sia cruciale rendere più sostenibili le città. Così non è oggi: i grandi centri sono il simbolo dell’economia lineare, fondata sulla catena prendere-usare-gettare. Le città attualmente sono responsabili del 75% del consumo di risorse naturali e di una quota tra il 60 e l’80% delle emissioni di gas serra.

In una città circolare tutto (dalle infrastrutture ai mezzi di trasporto, dagli edifici alla rete di distribuzione delle risorse) è progettato per tendere alla massima durevolezza, modularità, facilità da manutenzione e riutilizzo. Fondamentale l’impiego di tecnologie smart, ma anche una diversa progettazione degli spazi urbani. Un esempio? La teoria delle ‘città da 15 minuti’, elaborata dal direttore scientifico della Sorbona di Parigi, Carlos Moreno: centri in cui tutti i servizi essenziali siano raggiungibili in massimo un quarto d’ora a piedi o in bici da ogni cittadino, permettendo di ridurre l’inquinamento, risparmiare tempo e migliorare la qualità della vita.

Sono diverse le metropoli europee che hanno già iniziato a implementare questi principi. Parigi nel 2015 ha avviato la trasformazione dei propri processi economici, incorporando modelli circolari nell’ecosistema urbano. A Londra è stato creato il London Waste and Recycling Board, per guidare i settori produttivi nella messa in atto di soluzioni circolare. Ma l’esempio migliore in Europa è forse Amsterdam, che punta dimezzare l’uso di materie prime entro il 2030 e a dotarsi di un’economia completamente circolare entro il 2050. La metropoli olandese ha deciso di puntare sul concetto di ‘Economia a ciambella’ elaborato dall’economista Kate Raworth. Tra le macroazioni previste ci sono la produzione di articoli di qualità superiore che possano essere riutilizzati, lo sviluppo della sharing-economy attraverso piattaforme digitali, la lotta allo spreco di cibo e l’aumento dei requisiti di sostenibilità degli edifici con l’utilizzo di materiali più circolari.

E in Italia? A monitorare la situazione è stato il CESISP (Centro Studi in Economia e Regolazione dei Servizi, dell’Industria e del Settore Pubblico) dell’Università di Milano Bicocca. L’ente ha provato a misurare la circolarità dei centri urbani con un indice basato su cinque ambiti, contenenti ognuno diversi parametri per un totale di 28 indicatori: input sostenibili, condivisione sociale, uso di beni come servizi, end of life, estensione della vita dei prodotti. Tra le 20 città considerate, la migliore è risultata Milano, seguita da Trento e Bologna. Dall’altro lato della classifica, maglia nera a Catania, seguita da Palermo e Bari. In generale, le prime dieci posizioni sono tutte occupate da città del Nord, a testimoniare come in questo campo sia forte il divario accusato dal Mezzogiorno. Ma, in generale, solo otto delle città esaminate raggiungono un valore di “piena sufficienza” negli indicatori analizzati. Un risultato non certo esaltante: per gli stessi ricercatori del CESISP “è quanto mai auspicabile una sinergia tra i vari Comuni dal punto di vista territoriale, con una responsabilità diffusa tra amministrazioni e società nel raggiungimento di avanzati standard di sostenibilità”.

Nadia Bisson

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