8 marzo, crescono le agricoltrici e puntano sul green. Ma resiste la discriminazione anche nei campi

In Italia sono quasi 200mila le aziende agricole al femminile, circa una su quattro. Eppure molti provvedimenti non contengono norme dedicate

Sono quasi 200mila le donne italiane che hanno scelto campi e trattore. Sono imprenditrici che hanno puntato sul settore agricolo, abbattendo così barriere e pregiudizi e portando in campo un nuovo protagonismo tutto al femminile. Il 25% è laureata, il 50% svolge attività multifunzionali, come ad esempio, vendita diretta, agriturismo, trasformazione dei prodotti, fattoria didattica e sociale. Il 60% pratica attività green come l’agricoltura biologica. A tracciare la fotografia è un’analisi di donne Coldiretti su dati del Registro delle Imprese divulgata in occasione dell’8 marzo.

Il 28% delle aziende agricole italiane, quindi, è guidato da donne, con una ‘quota giovane’ in crescita. Sono 13mila, infatti, le imprese femminili in capo a ragazze sotto i 35 anni, che hanno puntato soprattutto sull’uso della tecnologia per migliorare organizzazione, gestione, rese e qualità.

“Le donne contadine – dice Coldiretti – sono presenti in tutto il territorio italiano e la Sicilia è la regione con il maggior numero di imprese femminili in assoluto (24mila). Sul podio salgono anche Puglia e Campania, che vantano rispettivamente più di 23mila e quasi 20mila aziende guidate da donne. Seguono Piemonte e Toscana”.

Ed è grande anche l’attenzione al green. Il 60% delle donne ha scelto di dedicare parte della produzione al biologico o al biodinamico e di operare per una filiera di qualità attenta alla sostenibilità, alla tutela della biodiversità e delle risorse naturali, del paesaggio e del benessere animale. In particolare, poi, le donne creano legami forti con il territorio e sono un vero e proprio presidio per la sopravvivenza e la valorizzazione delle aree rurali.

Secondo un recente studio della Penn State e dell’Università del Wisconsin-Madison, infatti, più agricoltrici equivalgono a un maggior benessere della comunità. Ma perché accade? Secondo i ricercatori la causa principale è dovuta al modo in cui le donne affrontano le loro attività; modi che hanno un impatto positivo sulle comunità a cui appartengono. Lo studio, pubblicato su Applied Economics Perspectives and Policy, ha rivelato che le contee degli Stati Uniti con una quota maggiore di aziende agricole possedute o gestite da donne hanno tassi più elevati di imprenditorialità non agricola, aspettative di vita più lunghe e tassi di povertà più bassi. La ricerca esplora, quindi, il concetto di “agricoltura civica” a guida femminile, che “si traduce effettivamente in un miglioramento del benessere della comunità in luoghi con percentuali più elevate di donne agricoltrici”.

Eppure, è la denuncia di Donne in Campo-Cia, non si fa ancora abbastanza per favorire un’agricoltura al femminile. Basti pensare che “le donne oggi non solo sono assenti da provvedimenti dedicati nel Pnrr e nella Pac, ma sono state escluse dagli incentivi ad hoc della misura Più Impresa, non rifinanziata dall’ultima legge di Bilancio, e colpite dal netto peggioramento di Opzione donna. Anche il Fondo Impresa Donna ammette agli stanziamenti le imprenditrici di tutti i settori, compreso quello della trasformazione alimentare, ma tiene fuori la produzione agricola”. “Le agricoltrici risultano così fortemente penalizzate e discriminate nei confronti delle colleghe di altri comparti – spiega la presidente Pina Terenzi-. Stessa situazione con la Politica agricola comune dell’Ue, che prescrive regole uguali per tutti piuttosto che valorizzare le differenze garantendo pari opportunità”.