
Sale al massimo la tensione tra Stati Uniti e Canada, sulla scia della guerra commerciale iniziata dalla nuova amministrazione Trump. Il presidente americano ha annunciato sul suo social Truth di voler aumentare dei un altro 25%, arrivando al 50%, i dazi doganali sull’acciaio e sull’alluminio canadesi, che entreranno in vigore domani. Una risposta, spiega Trump, alla decisione della provincia dell’Ontario di aumentare i dazi del 25% sull’energia elettrica venduta agli Stati Uniti. Una decisione, continua Trump, che Ottawa “pagherà un prezzo così alto che i libri di storia ne parleranno per molti anni a venire”.
In una sempre maggiore escalation, il tycoon esortato il Canada a eliminare “immediatamente” anche la sua tariffa anti-americana per gli agricoltori “dal 250% al 390% su vari prodotti caseari statunitensi, che è stata a lungo considerata scandalosa“, minacciando che il 2 aprile avrebbe imposto tariffe sulle automobili tali da “paralizzare completamente l’industria automobilistica canadese”. A questo punto, “l’unica cosa sensata” che può fare il Canda “ è diventare il 51° stato americano“, il che porrebbe di fatto fine alla guerra commerciale.
Immediata la risposta del Canada: una fonte governativa ha infatti fatto trapelare il messaggio che, se Trump porterà a compimento le sue minacce, il Paese “si troverà costretto a reagire”. Già domenica scorsa il nuovo capo del governo canadese, Mark Carney, aveva assicurato che il suo paese “non farà mai parte degli Stati Uniti, in nessun modo”. “I canadesi sono sempre pronti quando qualcuno lancia il guanto di sfida. Che gli americani non commettano errori. Nel commercio come nell’hockey, il Canada vincerà“, ha detto.
Dal suo insediamento il 20 gennaio, Trump ha fatto una serie di annunci sensazionali e di altrettanto spettacolari revoca dei dazi doganali, che hanno scosso la finanza e l’economia globali. Il Canada è gradualmente emerso come il bersaglio preferito della retorica commerciale aggressiva e delle mire espansionistiche del presidente americano, che ambisce anche alla Groenlandia e al Canale di Panama. Se i canadesi diventassero americani, ha rilanciato su Truth, “le tasse saranno notevolmente ridotte, saranno più sicuri, militarmente e in altro modo, che mai, non ci saranno più problemi di confine settentrionale e la nazione più grande e potente del mondo sarà più grande, migliore e più forte che mai. E il Canada ne sarà una parte importante”.
Il presidente americano non ha mai smesso di proclamare il suo “amore” per i dazi doganali, che, secondo lui, dovrebbero consentire sia il rientro delle fabbriche negli Stati Uniti sia la riduzione del deficit, anche se ciò significa causare temporanee “disfunzioni” finanziarie. Questa “età dell’oro” protezionistica decantata dal miliardario convince sempre meno gli investitori, che ora speculano su una recessione negli Stati Uniti, cosa che sarebbe stata impensabile solo poche settimane fa. Martedì, i principali indici della Borsa di New York, il Dow Jones e il Nasdaq, hanno continuato a scendere dopo le pesanti perdite subite lunedì.
Ma anche le borse europee hanno reagito male alle nuove minacce: Piazza Affari lascia l’1,38% e Madrid cede l’1,5%, Francoforte (-1,2%), Parigi (-1,1%), Londra (-1%).
Nel frattempo, alcuni paesi, tra cui Giappone e Australia, stanno cercando di negoziare esenzioni dai dazi fissati per mercoledì su tutto l’acciaio e l’alluminio che entrano negli Stati Uniti, indipendentemente dalla loro origine. La principale potenza mondiale importa circa la metà dell’acciaio e dell’alluminio che utilizza per le sue attività nell’industria automobilistica, aeronautica, petrolchimica e nei prodotti di consumo di base, come i prodotti in scatola. Sebbene rimanga tra i principali produttori mondiali, l’industria siderurgica americana sta perdendo slancio. Secondo la società EY-Parthenon, la concorrenza è in particolare quella proveniente dall’Asia, ma anche dal Canada, da dove proviene il 50% dell’alluminio e il 20% dell’acciaio importati negli Stati Uniti.