
Oltre il 70% delle città europee non si sta adattando ai cambiamenti climatici in modo coerente e coerente. Questa la principale scoperta del nuovo studio di Carbon Brief pubblicato su ‘Nature Climate Change’, su come le città europee si stanno preparando al surriscaldamento causato dalle attività umane. “Abbiamo scoperto che circa la metà delle 327 città da noi valutate non ha pubblicato un piano di adattamento contro le minacce climatiche”, spiegano gli autori dello studio a cui hanno collaborato decine di scienziati da Paesi Bassi, Ungheria, Cipro, Spagna e Italia, tra cui Filomena Pietrapertosa e Monica Salvia, ricercatrici senior all’Istituto di Metodologie per l’Analisi Ambientale del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr-Imaa).
E anche nelle 167 città che dispongono di piani di adattamento, da Alborg e Aarhus in Danimarca a Zilona Gorá in Polonia e Saragozza in Spagna, “le misure relative al clima sono spesso incoerenti – rileva l’analisi – con valutazioni del rischio climatico, obiettivi politici, misure di adattamento e programmi di monitoraggio non allineati”. Ad esempio, 81 piani hanno individuato l’aumento del rischio di tempeste e venti dovuto al cambiamento climatico, ma solo 23 di questi (28%) hanno menzionato l’aumento della resilienza a tali eventi meteorologici gravi come obiettivo politico specifico. “Queste incongruenze contribuiscono a creare un divario che l’Onu ha individuato tra gli obiettivi di adattamento adottati dalle società e le misure che queste hanno implementato per cercare di raggiungerli“.
Il piano di Norimberga, in Germania, presenta ad esempio il divario “più ampio”, seguito da quelli di Stoccarda e Schwerin (Germania) e Birmingham (Regno Unito). “Il divario è particolarmente allarmante perché l’Europa si sta riscaldando a una velocità doppia rispetto a qualsiasi altro continente, ed è un continente che da decenni riceve un notevole sostegno finanziario e istituzionale per l’adattamento climatico”, spiegano gli studiosi. Gran parte della ricerca esistente sul divario di adattamento si concentra sulla differenza tra le misure climatiche di cui una città ha bisogno e le azioni effettivamente intraprese. “Ma c’è un altro aspetto fondamentale di cui tenere conto – spiega lo studio – ovvero se le politiche e le misure siano effettivamente coerenti tra di loro”. Ad esempio, quando le valutazioni del rischio climatico suggeriscono che una città deve far fronte a minacce specifiche come tempeste, inondazioni improvvise, ondate di calore, incendi boschivi o siccità, queste vulnerabilità dovrebbero essere direttamente collegate agli obiettivi di adattamento del comune, alle politiche e ai processi di monitoraggio e valutazione.
Per questo gli scienziati hanno sviluppato una serie di “controlli di coerenza”, proprio per identificare il grado di allineamento delle diverse fasi del processo di gestione dell’adattamento. “Abbiamo scoperto che il 49% dei piani allinea i rischi climatici agli obiettivi climatici. Poco più della metà (52%) allinea i rischi settoriali identificati alle rispettive misure, ma solo per quanto riguarda specifici settori economici e industrie“, spiega lo studio di Carbon Brief. Ad esempio, 68 città (77%) individuano rischi specifici per gli edifici, mentre 70 città (80%) evidenziano i rischi per il settore idrico e includono dettagli sulle misure per proteggere questi settori. Tuttavia, i rischi identificati per i gruppi vulnerabili, come i rischi per gli anziani, le persone a basso reddito e le minoranze etniche, sono stati monitorati con misure coerenti solo nel 43% dei piani. Inoltre, solo il 4% delle città prende in considerazione o coinvolge i gruppi vulnerabili nel monitoraggio e nella valutazione (se individuano questi gruppi a rischio) e solo l’1% delle città coinvolge efficacemente le comunità vulnerabili nello sviluppo del piano.
In conclusione, esiste un rischio reale che la cittadinanza più vulnerabile sia ulteriormente esposta a eventi meteorologici estremi e la ricerca suggerisce “una maggiore necessità per le amministrazioni locali e e nazionali di basare le proprie politiche di adattamento su solide valutazioni del rischio e di monitorare di conseguenza i progressi, in particolare tenendo conto dei gruppi sociali più deboli”.