“L’Europa mi ricorda un nobile che abita in una casa antica e meravigliosa, ma non si accorge che fuori il mondo sta cambiando e che bisogna lavorare per mantenere il privilegio”. Così Sergio Dompé, numero uno dell’omonima azienda farmaceutica, uno dei principali gruppi di un settore che per l’Italia vale 10 miliardi di esportazioni negli Stati Uniti e per l’intera Ue 119 miliardi. “Spero che i dazi diano uno scossone perché sarà l’innovazione a determinare se l’Ue potrà mantenere un ruolo di potenza o si dovrà accontentare di una posizione sussidiaria”, aggiunge nel colloquio con il Corriere della Sera. Dompè si è fatto un’idea su quelli che potrebbero essere i dazi per il settore farmaceutico: “Apparentemente, ci si assesterà su un dazio del 15%; restano però due incognite dirimenti. Da un lato, bisognerà valutare quali farmaci godranno di esenzioni, di tariffe zero. Dall’altro, pende ancora l’indagine commerciale della Casa Bianca sul settore che potrebbe stravolgere il quadro”. Il giudizio in assoluto è “positivo alla luce delle condizioni di partenza, ma per dare un giudizio definitivo bisognerà attendere i dettagli. I dazi fanno in ogni caso sempre male: sono una tassa sul nostro lavoro e rallentano non solo lo scambio di merci ma anche di conoscenze”.