L’industria italiana rialza la testa a luglio, ma la produttività delle imprese è ferma dal 2019
L'Istat stima un +0,4% mensile e un +0,9% trainati da beni durevoli e strumentali. Il Cnel rileva però che dal 2014 l'efficienza di aziende e lavoratori è stagnante anche per la bassa disponibilità di competenze digitali

L’industria italiana alza la testa e vede una luce in fondo al tunnel. L’Istat stima che a luglio l’indice destagionalizzato della produzione aumenti dello 0,4% rispetto a giugno (quando si era registrato un timido +0,2%) e un +0,2% nella media del periodo maggio-luglio rispetto ai tre mesi precedenti. In termini tendenziali l’indice sale invece dello 0,9% (dal -0,7% rivisto di giugno e dal -0,9% di maggio). L’indice destagionalizzato mostra un calo congiunturale solo per l’energia (-7,8%) mentre si osservano aumenti per i beni di consumo (+2,1%), i beni strumentali (+1,6%) e i beni intermedi (+0,7%). Su base annuale, Istat rileva incrementi per i beni di consumo (+3%), i beni strumentali (+2,8%) e i beni intermedi (+0,3%) e un calo dell’energia (-5,2%). I settori di attività economica che registrano gli incrementi tendenziali maggiori sono la fabbricazione di coke e prodotti petroliferi raffinati (+10,8%), la fabbricazione di computer e prodotti di elettronica (+6,4%) e le industrie alimentari, bevande e tabacco (+5,7%). Le flessioni più rilevanti si riscontrano, invece, nella fornitura di energia elettrica, gas, vapore ed aria (-9,4%), nella produzione di prodotti chimici (-2,7%) e nella fabbricazione di articoli in gomma e materie plastiche (-1,6%).
La lettura delle associazioni di categoria non è però del tutto positiva. Secondo il Codacons, “i numeri in crescita non bastano a colmare il trend negativo dell’ultimo periodo: nella media dei primi sette mesi del 2025, infatti, la produzione industriale segna una flessione del -0,8% rispetto allo stesso periodo del 2024”. Sull’industria italiana, ricorda l’associazione dei consumatori, “pesa inoltre la scure dei dazi imposti dagli Stati Uniti che, a regime, potrebbero avere effetti pesanti sul comparto, aggravando il trend negativo del 2025”. Secondo il presidente dell’Unione nazionale dei consumatori (Unc), Massimiliano Dona, “è troppo presto per esprimere soddisfazione. Siamo ben lungi, infatti, dal poter parlare di una inversione di tendenza, dopo cali tendenziali che, nei dati corretti per gli effetti di calendario, sono durati ininterrottamente da febbraio 2023 a marzo 2025“. Per Confcommercio “non va trascurato il fatto che la crescita sia stata guidata dalla componente non energetica, elemento che, al netto della ricostituzione delle scorte, sembra suggerire attese di un miglioramento della domanda”.
L’ultimo aggiornamento dell’Istat certifica che l’Italia tiene il passo, con le dovute proporzioni, delle altre principali economie dell’eurozona. A luglio la produzione industriale della Germania ha registrato un rimbalzo dell’1,3% mensile e +1,5% annuale, la Spagna sconta un calo congiunturale dello 0,5% ma sale del 2,5% sull’anno mentre la Francia ha contenuto le perdite all’1,1% dopo la forte ripresa di giugno (+3,7%).
L’entusiasmo tuttavia è stato smorzato dell’ultimo Rapporto annuale sulla produttività del Cnel. Da cui emerge che nel primo quinquennio post-crisi finanziaria (2009-2014) la produttività ha segnato in Italia un parziale recupero (+0,6%), dovuto principalmente al forte processo di selezione che ha caratterizzato il comparto industriale, alla ristrutturazione del settore bancario, alle riforme del mercato del lavoro e all’introduzione di incentivi all’innovazione, fattori che hanno premiato le imprese più efficienti, favorendo una riallocazione dei lavoratori e dunque una più sostenuta crescita della produttività aggregata. Tuttavia nel quinquennio 2014-2019 la crescita della produttività italiana “si è invece fermata a un +0,1% e così anche nel quinquennio successivo“. Considerando il settore privato non agricolo, al netto dei servizi finanziari e immobiliari, la crescita della produttività è stata invece dell’1,6% nell’ultimo quinquennio, trainata dalle costruzioni e dai servizi privati, in particolare nel commercio e nei servizi ad alta intensità di conoscenza. Il Rapporto del Cnel conferma che l’Italia mostra “un significativo divario rispetto alla media europea negli investimenti intangibili, ovvero quelli in beni immateriali, come software, ricerca e sviluppo, capitale organizzativo”. Mentre questi ultimi sono cresciuti a un ritmo tre volte superiore rispetto a quelli tangibili per la maggior parte delle economie avanzate dal 2014 ad oggi, in Italia si è avuta una dinamica opposta, “evidenziando la difficoltà italiane nel tenere il passo con la frontiera dell’innovazione”. Il tasso medio annuo di crescita degli investimenti intangibili in Italia tra il 2013 e il 2023 è stato inferiore al 2,5%, contro il +4,7% in Francia, +6,1% in Svezia, e +5,8% negli Stati Uniti”.